La serva di Dio Dorothy Day, giornalista con la passione per i poveri e i diseredati, fu chiamata a una scelta dolorosa nella sua vita.
Fu costretta a scegliere tra l’uomo che amava e l’amore per Dio e per la Chiesa.
Tra i quattro americani che hanno espresso i migliori valori dello spirito statunitense papa Francesco nel suo storico discorso al Congresso del 2015 ha menzionato anche il suo nome, unica donna del quartetto, assieme a quelli di Abraham Lincoln, Martin Luther King e Thomas Merton. Parliamo di Dorothy Day, la giornalista e attivista fondatrice del movimento Catholic Worker (Lavoratori Cattolici) che si batteva per i poveri e i lavoratori.
Dorothhy Day nasce l’8 novembre 1897 a New York. Fin da piccola fa esperienza diretta della povertà andando a vivere con la famiglia – di fede protestante ma non praticante – nel più povero quartiere di Chicago. La giovane Dorothy ha un temperamento ribelle, combattivo e anticonformista. La sua forte passione sociale la porta però ad allontanarsi dalla fede per abbracciare le idee comuniste. E dopo essere diventata giornalista si batte per i diritti dei lavoratori e dei poveri diseredati.
Il peccato che le sconvolge la vita
La sua esistenza viene messa a soqquadro da un peccato che sconvolge la sua vita, traghettandola verso la conversione al cattolicesimo. Rimasta incinta a ventun anni di un giovane collega di nome Lionel Moise, decide di abortire e viene anche abbandonata dal suo uomo.
Come ha scritto il suo biografo Terrence C. Wright, Dorothy Day “fu devastata dal suo aborto e dalla fine della relazione con Moise. Tentò anche il suicidio. Per Day l’aborto fu la grande tragedia della sua vita”. Assalita dal rimorso e dal timore di non poter più avere figli, accoglie come un miracolo la seconda gravidanza.
Il suo nuovo compagno, il biologo Forster Batterham, è un anarchico che coinvolge nella stessa avversione il matrimonio e la religione. Per giunta è pure convinto che il periodo in cui vive sia troppo crudele per poter mettere al mondo dei figli. Stavolta Dorothy però sceglie la vita. E non solo porta a termine la gravidanza, ma una volta nata la sua bimba Tamar, nel 1927, la fa subito battezzare secondo il rito cattolico, anche contro il volere del compagno, per evitare che la figlia “brancolasse nel buio per anni come avevo fatto io”.
Una nascita e una rinascita
“La nascita della bambina fu tutt’uno con il compimento della conversione al cattolicesimo”, ha fatto osservare la scrittrice Annalisa Teggi. Dorothy è un bivio: deve scegliere tra Dio e l’uomo che ama tantissimo. Diventare cattolica significa perdere Forster, ne è consapevole. Sceglie Dio. “Il costo di tutto ciò fu la perdita dell’uomo che amavo, ma guadagnai la salvezza di mia figlia e la mia“, scriverà.
Così il 28 dicembre 1928 Dorothy Day entra nella Chiesa cattolica, pienamente convinta di potervi trovare “la Chiesa degli immigrati, la Chiesa dei poveri”, ovvero la realizzazione delle passoni e degli ideali per cui si è battuta fin da ragazza.
Quanto all’aborto, Dorothy Day prenderà una posizione chiara. Come osserva lo scrittore José Luis Vázquez Borau nel suo libro Dorothy Day, attivista e mistica, “per Dorothy le politiche sociali che fomentavano l’aborto o il controllo della natalità erano crimini contro la creazione e contro la nostra umanità, le vedeva come un genocidio contro la povera gente e le minoranze”. In un articolo del 1972 arriva infatti a paragonare l’aborto e il controllo delle nascite a un genocidio. Un esempio di come si possa benissimo tenere assieme la passione per la giustizia sociale e la sollecitudine per la morale nel campo della difesa della vita umana e della famiglia (a differenza di quanto succede oggi con la nefasta separazione tra cattolici del “sociale” e cattolici della “morale”).
La nascita di “The Catholic Worker”
Quattro anni dopo, nel 1932, avviene un’altra svolta nella sua vita: Dorothy incontra infatti Peter Maurin, fervente cattolico che ha un sogno nel cassetto: realizzare una rivista dove affrontare temi sociali con un taglio ispirato al Vangelo. I due uniscono le forze e insieme danno vita, il 1° maggio 1933, al mensile “The Catholic Worker”. È un successo: in un solo anno arriva alle centomila copie, ma soprattutto diventa un punto di riferimento per gli homeless (i senzatetto), i poveri e i bisognosi che vanno a bussare alla porta della rivista chiedendo che vengano messi in pratica i princìpi ispiratori del mensile.
Dorothy risponde all’appello che sale dai poveri. Così il suo appartamento nel cuore di New York diventa la prima della tante case di ospitalità. “The Catholic Worker” si trasforma a sua volta da giornale in movimento. Nel 1936 le case sono già 33, oggi sono più di 300 e i soci si contano a migliaia tra Usa e Nord del Messico.
Nelle sue “case famiglia” Dorothy sceglie di accogliere preferibilmente i clandestini e i rifiutati da altre organizzazioni perché giudicati “indegni” di essere aiutati. E spiega che “vivono con noi, muoiono con noi e diamo loro una sepoltura cristiana, preghiamo per loro dopo che sono morti. Una volta che sono accolti diventano membri della famiglia”.
Una “ribelle” che non si è mai vergognata di Dio
Negli ultimi anni di vita, malata e incapace di spostarsi, è seguita con affetto da papa Giovanni Paolo II e riceve la visita di madre Teresa di Calcutta che considera membro ad honorem del suo ordine quella che era diventata nota come l'”anarchica di Dio” per la radicalità delle sue posizioni e delle sue scelte di vita. Una che, tanto per rendere l’idea, negli anni ’50 l’FBI aveva inserito in una lista di pericolosi estremisti da arrestare in caso di emergenza nazionale…
Dorothy Day muore il 29 novembre 1980, nel 2000 inizia il processo di canonizzazione (a fine 2021 si è conclusa la fase diocesana della beatificazione). “Se ho realizzato qualche cosa nella mia vita – ha detto una volta – è perché non mi sono mai vergognata di parlare di Dio“.