«Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili», diceva il giudice Rosario Livatino.
Figura esemplare di magistrato giusto e saggio, traeva dalla sua profonda fede la forza per perseguire la giustizia nella carità fino al martirio per mano dei mafiosi.
Rosario Livatino nasce a Canicattì (Agrigento) il 3 ottobre 1952. È l’unico figlio di Vincenzo Livatino, funzionario dell’esattoria comunale, e di Rosalia Corbo. Frequenta il liceo classico, dove non lesina l’impegno, e al tempo stesso si impegna nell’Azione Cattolica. Nel 1975 arriva la laurea con lode in giurisprudenza, poi quella in scienze politiche.
A ventisei anni, nel 1978, diventa magistrato. L’anno dopo va a fare il sostituto procuratore presso il Tribunale di Agrigento. Ricopre questo incarico per dieci anni, fino al 1989, poi assume quello di giudice a latere della speciale sezione misure di prevenzione.
Il giudice Livatino è un profondo conoscitore del fenomeno mafioso. Si occupa delle più delicate indagini antimafia, oltre che della criminalità comune. Ad Agrigento mette mano anche a tangenti (nella cosiddetta “tangentopoli siciliana”) e corruzione.
Un magistrato giusto e coerente
Rosario Livatino in questi anni si rivela un giudice inflessibile e coerente, impermeabile a ogni genere di influenza esterna. Non fa parte di club o associazioni. Di dichiarazioni non ne rilascia e i suoi interventi pubblici si contano forse sulle dita di una mano. Si concentra totalmente sul suo lavoro, portandoselo anche a casa dove studia le cause sulla sua scrivania, dove spiccano un crocifisso e un Vangelo pieno di annotazioni a margine (evidentemente lo consultava parecchio).
«La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità», scrive e non difficile immaginare quale sia la fonte che lo ispira. Così come quando scrive che «il sommo atto di giustizia è necessariamente sommo atto di amore se è giustizia vera, e viceversa se è amore autentico».
La fede del magistrato
Ma non c’è solo il lavoro nella giornata del giudice Livatino. La preghiera lo accompagna costantemente: inizia sempre le sue giornate con una sosta nella chiesa di San Giuseppe ad Agrigento, davanti al Tabernacolo: una chiesetta fuori mano, dove si può pregare indisturbati e senza essere visti. Anche alla domenica va a Messa in una chiesa dove non ci sono troppi sguardi indiscreti. Quella di Rosario Livatino non è una fede che ama esibirsi, ma concreta.
«Il giudice deve offrire di se stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile. L’immagine di un uomo capace di condannare, ma anche di capire», scrive. È precisamente quanto si propone di fare per «dare alla legge un’anima». Si sforza continuamente di essere giusto nel condannare ma senza mai confondere la persona con il reato. Cerca sempre di scegliere giustizia pur consapevole che, come scrive, «scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare… (Ma) è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio: un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio».
Preso di mira dai mafiosi
Sceglie la giustizia anche quando, nonostante qualcuno lo inviti a “lasciar perdere”, entra a far parte del collegio che decide sulla confisca dei beni a quattro presunti mafiosi agrigentini, potenti e “intoccabili” capifamiglia di Canicattì.
Cosa Nostra inizia così a prenderlo di mira. Finché non gli tendono un agguato. È il 21 settembre 1990: mentre il giudice percorre, come ogni giorno, la statale 640 Caltanissetta-Agrigento un commando di quattro persone gli sperona la macchina. Livatino cerca la fuga in mezzo ai campi, già ferito a una spalla. Ma dopo poche decine di metri i killer lo raggiungono e lo freddano a colpi di pistola.
Primo magistrato beato
Una delle sue frasi più conosciute è: «Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili».
La Chiesa, dopo aver riconosciuto il suo martirio, beatificherà il giudice Livatino il 9 maggio 2021. È il primo magistrato beato nella storia della Chiesa.