Il Beato Rosario Livatino, che si ricorda oggi 29 ottobre, è il giudice ucciso dalla mafia e diventato “martire della giustizia e della fede” .
Oggi, 29 ottobre, si commemora la figura del beato Rosario Livatino, non solo esempio di magistrato saggio ed equo, ma di cristiano che ha vissuto il suo lavoro alla luce della fede. Ucciso dalla mafia, è stato definito “martire della giustizia e indirettamente della fede” da papa Giovanni Paolo II in udienza privata con i genitori.
Il beato Rosario Livatino nasce a Canicattì, in provincia di Agrigento il 3 ottobre 1952. È figlio unico e suo padre fa il funzionario dell’esattoria comunale. Cresce in ua famiglia credente, da ragazzo frequenta l’Azione Cattolica e nel frattempo studia brillantemente.
A soli 23 anni si laurea in giurisprudenza con lode e poco dopo prende anche la laurea in scienze politiche. Il suo sogno è fare il magistrato e combattere per la giustizia e lo realizza. Diventa sostituto Procuratore al tribunale di Agrigento.
Oltre alle faccende di criminalità ordinaria ben presto si occupa anche della criminalità organizzata, la piaga della sua Sicilia. Non discosta il suo lavoro dalla fede, che impregna tutta la sua personalità. Lavora molto e continua a lavorare anche quando è a casa.
Sulla sua scrivania trovano posto un crocefisso e il Vangelo. È Gesù ad ispirarlo in ogni aspetto della sua vita, quindi anche per quanto riguarda il lavoro. Si occupa di indaginin antimafia e della cosiddetta “tangentopoli siciliana” connessa con la mafia agrigentina.
Gli viene dato poi un altro incarico: riveste il ruolo di Giudice a latere della speciale sezione misure di prevenzione. “La giustizia è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità” sono le sue parole. Non si ferma quindi ad un’idea di giustizia puramente umana o alle leggi prescritte, ma pone la carità come elemento supremo, come insegna Gesù.
La sua giornata era scandita dalla preghiera che inseriva tra gli impegni di lavoro. Cominciava sempre con una sosta nella chiesa di San Giuseppe ad Agrigento, e rimaneva in preghiera davanti al Tabernacolo. Non amava mettersi in mostra e sceglieva chiese in cui non essere al centro dell’attenzione.
Il suo obiettivo era “dare alla legge un’anima” e cercava sempre di non confondere la persona con il reato commesso. Modello per i magistrati cattolici, sosteneva che “scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare… Ma è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio: un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio“.
Era convinto che “Alla fine della vita non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili“. Per la sua giovane età fu definito il “giudice ragazzino” da Francesco Cossiga. Inizialmente, l’ex presidente della Repubblica non lo riteneva in grado di svolgere delicate operazioni antimafia a causa dell’inesperienza, ma poi dovette ricredersi e cambiò il suo pensiero.
Manifestava sempre una grande umiltà, come ricorda un suo compagno di scuola. Quando si trovò a doversi occupare di questioni che riguardavano personaggi molto pericolosi non esitò, nonostante gli inviti a lasciar perdere. Non aveva la scorta e percorreva le strade con la sua automobile. Il 21 settembre 1990 la mafia gli tese un agguato sulla superstrada che attraversava abitualmente.
La macchina viene fermata a colpi di pistola. Lui in un primo momento riesce a scappare tra i campi, ma viene raggiunto da un colpo di lupara. I mandanti e gli esecutori materiali sono poi stati identificati e condannati all’ergastolo.
La sua beatificazione è stata celebrata il 9 maggio 2021 nella cattedrale di San Gerlando ad Agrigento. Le sue spoglie riposano nella tomba di famiglia presso il cimitero di Canicattì. La sua memoria liturgica è fissata al 29 ottobre, anniversario della sua Cresima. Il culto al beato Livatino è molto forte in Sicilia dove gli sono state dedicate diverse opere.
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