Sempre sorridente, questo parroco spagnolo fece resistenza al totalitarismo comunista con le “armi” dell’umorismo, dell’ingegno e dell’Eucarestia.
Per aggirare le restrizioni antireligiose in occasione della persecuzione scatenate durante la Guerra civile spagnola escogitò un metodo ingegnoso che fece parlare di sé anche all’estero.
José Guardiet y Pujol era nato il 21 giugno 1879, a Manlleu, cittadina vicino a Barcellona, dove il padre lavorava come farmacista. Diventato sacerdote nel 1902, si vede assegnare alla chiesa di Santa Maria del Pi a Barcellona e nel 1917 arriva la nomina a rettore della parrocchia di San Pedro, a Rubí.
Per il suo proverbiale senso dell’umorismo e la sua giovialità si guadagna ben presto la fama di essere «il parroco del sorriso». Senza nulla perdere in austerità, la casa di questo instancabile predicatore e catechista, sempre aperta a tutti, diventa così un continuo viavai di gente. Al punto che talvolta non riesce nemmeno a mangiare. Lui però non se ne dispiace, anzi afferma: «Il pasto può attendere, ma il fedele no».
Risponde con ingegno e umorismo alle assurde proibizioni anticattoliche
Alcuni anni dopo, nel 1934, scatta la prima fase della persecuzione anticattolica provocata dalla Guerra civile spagnola. Con la nascita della Repubblica il municipio di Rubí arriva a vietare il suono delle campane. Allora don Josè escogita una soluzione ingegnosa: quella di illuminare i finestroni del campanile con luci di diversi colori, in base alla festa o all’evento da annunciare. Luce bianca per un battesimo, rosa per un matrimonio; azzurra per i funerali di un bambino, viola per quelli di un adulto. O ancora: luce rossa per le solennità, verde per le feste.
I parrocchiani trovano di loro gradimento la novità introdotta dal sacerdote, tanto che cominciano a riconoscere meglio gli eventi grazie al sistema dei colori che col suono delle campane. L’iniziativa di don Josè ha addirittura risonanza internazionale. Ne parla perfino il celebre scrittore Gilbert Keith Chesterton, che ne tesse l’elogio a modo suo su una rivista cattolica inglese.
Nel luglio del 1936 la persecuzione religiosa si fa aperta e cruenta. Anche don José rischia la vita. Il 20 luglio apre la chiesa per distribuire la Comunione ogni quarto d’ora, come è solito fare. Ma quando cala la notte un gruppo di fanatici assale la chiesa. Don José riesce a mettere in salvo il Santissimo, ma il giorno successivo lo arrestano e viene portato nel carcere di Rubí.
Giustiziato in odio alla fede
Il 3 agosto, alle 15, alcuni miliziani forestieri lo prelevano dal carcere e, insieme ad altri due concittadini, lo conducono lungo la strada chiamata Arrabassada, che porta da San Cugat al monte Tibidabo. Lungo il percorso, i miliziani si tengono a rispettosa distanza, come se vergognandosi davanti alla gente. Don José gli dice: «Potete venire con me. Non affliggetevi. In fondo, se fate questo siete obbligati».
Arrivati nel luogo detto “El Pi Bessó” («Il pino gemello») don José perdona i suoi carnefici. Sei di loro, commossi, si lasciano cadere di mano i fucili. Non così il settimo, che apre il fuoco sul parroco e sugli altri due fedeli. Don José Guardiet y Pujol diventa così uno dei 522 beati martiri spagnoli beatificati nel 2013, trucidati soltanto per la loro fedeltà a Gesù Cristo, unico Salvatore degli uomini.