Pensato dall’eternità e rivelatore della bellezza e della grandezza del disegno divino il Santissimo Nome di Gesù esprime la gloria di Dio.
Al Nome Santissimo di Gesù è dedicato un giorno di memoria liturgica, oggi 3 gennaio. Per comprendere l’importanza che gli è attribuita si può far riferimento alle parole del Vangelo di Giovanni, quando il Signore dice: “Qualunque cosa chiederete nel mio nome, io la farò“.
Fin dai primissimi secoli del cristianesimo il Nome di Gesù è venerato: se ne trovano attestazioni già nell’arte paleocristiana anche se il culto liturgico prenderà forma solo tra il XV e XVI secolo.
Maria e Giuseppe, come era stato indicato loro dall’angelo, danno questo nome al Figlio di Dio. Gesù vuol dire “Dio salva“. Il Nuovo Testamento è pieno di passi in cui l’invocazione con fede del nome di Gesù è fonte di salvezza, di remissione dei peccati e di vita eterna.
In ebraico il nome è Yeshu’a, in lingua greca è Iesous e in latino Iesus. La potenza salvifica che deriva dal Nome di Gesù è riportata anche dagli Atti degli Apostoli (4, 12) in cui viene detto “Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza” e san Paolo parla del nome nella Lettera ai Romani (10, 12-13) “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato“.
Nel suo nome vengono scacciati i demoni, accadono miracoli di guarigione. Nei primi secoli sorgono i primi cristogrammi, ovvero le combinazioni di lettere dell’alfabeto greco o latino per raffigurare in forma abbreviata il nome di Cristo.
Il Vangelo di Luca (10, 17) dice “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome“. In Matteo (7, 22) è riportato “Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Il Martirologio Romano ricorda la celebre frase in riferimento al Santissimo Nome di Gesù: “il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sottoterra, ogni ginocchio si pieghi a gloria della maestà divina“.
San Bernardino da Siena, frate francescano, nel XV secolo ideò il trigramma IHS dando così un forte impulso al culto. Il cristogramma JHS (o IHS), composto con le prime due lettere e l’ultima del nome di Gesù in greco, entrò a far parte dell’iconografia comune e popolare e divenne di grande familiarità per tutti i fedeli.
Nel 1530 papa Clemente VII diede l’autorizzazione all’ordine francescano di recitare l’Ufficio del santo Nome di Gesù. Il trigramma fu ripreso dalla Compagnia di Gesù che lo adoperò come emblema. Anche santa Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo. Poi, nel 1721 papa Innocenzo XIII stabilì la memoria liturgica estesa a tutta la Chiesa.
La data del 3 gennaio era stata eliminata nel corso degli anni ’70 del secolo scorso, ma è stata ripristinata da papa san Giovanni Paolo II che decise di reinserirla all’interno del Martirologio Romano.
La devozione comprendeva il bacio ad una tavoletta di legno su cui era inciso il trigramma come espressione di amore e adorazione. Il trigramma era raffigurato al centro di un sole su sfondo azzurro e 12 raggi. La simbologia è ben precisa: il significato dei raggi era espresso in una litania.
Ogni raggio era simbolo di qualcosa: il primo del Rifugio dei penitenti; il secondo era Vessillo dei combattenti; il terzo Medicina degli infermi; il quarto Sollievo dei sofferenti; il quinto Onore dei credenti. Si prosegue con il sesto, lo Splendore degli evangelizzanti; il settimo la Mercede degli operanti; l’ottavo il Soccorso dei deboli; il nono, il Sospiro dei meditanti; il decimo, l’ Aiuto dei supplicanti; l’unidcesimo, la Debolezza dei contemplanti; ed infine il dodicesimo, la Gloria dei trionfanti.
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