La Chiesa oggi celebra i primi martiri dell’Africa nera: Carlo Lwanga e i suoi compagni, uccisi per la loro fede in Cristo Gesù.
Saranno 22 i cattolici ugandesi che pagheranno con la vita la loro testimonianza di amore per Gesù e la sua Chiesa.
A prova della sua universalità il Calendario della Chiesa Cattolica può vantare il fatto di rappresentare tutti i continenti della Terra. Ad esempio, l’Africa è presente anche con i rappresentanti della cosiddetta «Africa nera».
Che la santità sia da sempre indifferente al colore della pelle lo prova la vicenda di San Carlo Lwanga, Matteo Murumba e dei loro compagni Martiri dell’Uganda, beatificati nel 1920 da Papa Benedetto XV e canonizzati nel 1964 da Paolo VI.
Verso il 1880 l’Uganda fu raggiunta da cosiddetti Padri Bianchi del cardinale Charles Lavigerie. La loro si rivelerà una missione di grandissimo successo, anche grazie al favore con cui il Re del tempo, (Kabaka) Mutesa I del Buganda, li aveva accolti. Ma alla sua morte il nuovo sovrano, Mwanga II, non si mostrò altrettanto favorevole alla presenza dei Padri Bianchi. Questo per due ragioni almeno: la prima di tipo morale e la seconda di tipo commerciale.
Mwanga II infatti aveva spiccata tendenza al vizio – era un pedofilo seriale – che i missionari non mancavano di rimproverargli e insidiava continuamente con le sue avances sessuali gli adolescenti paggi, tra i quali alcuni ancora catecumeni. I Padri Bianchi si erano opposti anche alla tratta degli schiavi, nella quale invece il nuovo sovrano ugandese intravedeva la possibilità di fare ottimi affari grazie alla vendita dei suoi più robusti sudditi.
La feroce persecuzione di Mwanga II
La repressione, che sfocerà in aperta persecuzione, comincerà nel 1885. Mwanga fece massacrare molti missionari anglicani, tra i quali il vescovo James Hannington, e anche i Padri Bianchi vennero scacciati dall’Uganda.
Nel Paese africano rimasero coloro che grazie a loro si erano convertiti alla fede cristiana e avevano ricevuto il battesimo. Come ad esempio il giudice 50enne Matteo Murumba, battezzato nel 1882, oppure Iamari (ovvero Giovanni Maria) detto Muzei, cioè il vecchio, battezzato nel 1885. Aveva ricevuto il battesimo nel 1882 anche Andrea Kagoua, che era stato amico del principe e durante un’epidemia aveva soccorso con generosità i malati.
Ma soprattutto tra i convertiti spiccava, per la purezza di costumi e la pietà di sentimenti, il giovane Carlo Lwanga, ventunenne capo dei paggi presso la corte regale. Lwanga proteggeva i ragazzi che gli erano stati affidati, difendendoli dalla morbose attenzioni di Mwanga II.
Dopo aver dichiarato che i membri della corte che avessero continuato a professare in maniera aperta la loro fede cristiana sarebbero stati giustiziati, il 25 maggio 1886 Mwanga ordinò un’assemblea generale della corte durante la quale emanò un ordine che condannava a morte tutti coloro che avessero pregato.
Il coraggio di un gruppo di giovanissimi testimoni di Cristo
A quest’ordine tirannico i primi a disobbedire furono proprio Carlo Lwanga e i suoi paggi. Mwanga ne fece subito smembrare due da sacrificare agli idoli, facendone bruciare altri sul rogo. Lwanga, che come i suoi paggi aveva rifiutato di abiurare, venne arso vivo sulla collina di Namugongo. Mentre gli aguzzini gli bruciavano i piedi a fuoco lento, Carlo si rivolse al guardiano e gli disse. «È come se mi stessi versando dell’acqua addosso. Per favore, pentiti e diventa cristiano come me».
Quel giorno saranno 31 i cristiani a condividere la sorte di Lwanga, 22 dei quali cattolici, gli altri anglicani. Anche i giovani paggi cristiani verranno arsi vivi sui carboni ardenti. Pregarono tutti fino alla fine senza emettere un gemito. Uno di loro, Bruno Ssrerunkuma, prima di morire dirà: «Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai. E quando noi non ci saremo più, altri verranno dopo di noi». La corte rimarrà profondamente colpita dal non aver udito uscire grida di dolore e imprecazioni d’odio dalle loro bocche.
Dopo di loro verrà il turno di Matteo Murumba, al quale saranno tagliate mani e piedi, e di Andrea Kagoua, decapitato. Mentre Iamari Muzei, il vecchio, sarà affogato in uno stagno.
Alla fine la persecuzione anticristiana di Kabaka Mwanga II farà 100 vittime. Ma il crudele sovrano ugandese non farà altro che dare ragione, una volta di più, alla sentenza scritta da Tertulliano durante le persecuzioni avvenute nei primi anni della Chiesa: «Il sangue dei Martiri è seme di nuovi cristiani». Una regola – o, meglio, una profezia – confermata da quanto avverrà dopo la sanguinosa persecuzione del 1886, quando l’Uganda assisterà alla fioritura della fede cristiana.
Nel 1934 Papa Pio XI proclamerà Carlo Lwanga “Patrono della gioventù dell’Africa cristiana”. Papa Francesco, nel suo viaggio apostolico del 2015 in Uganda, indicherà l’esempio dei 31 cristiani martirizzati, cattolici e anglicani, come altissimo esempio di «ecumenismo del sangue».
Preghiera a San Carlo Lwanga e compagni
O Dio, che nel glorioso martirio di Santi Carlo Lwanga e dodici compagni ci hai dato un segno della tua presenza amorosa nella Chiesa, concedi a noi, che confidiamo nella sua intercessione, di imitarlo nella fermezza della fede. Per il nostro Signore Gesù Cristo.