San Martino de Porres, frate domenicano, era capace di alternare miracoli e prodigi di carità all’arte del barbiere.
Il santo peruviano si consacrò ai più umili e ai bisognosi, ma anche i potenti finirono per chiedere i suoi consigli.
È un santo sconosciuto ai più quello di cui oggi fa memoria la Chiesa. Si tratta di un umile frate domenicano, nato e cresciuto in Perù. Una condizione che lo accompagna fin dalla nascita. «Figlio di padre sconosciuto»: così lo registrano fra i battezzati della chiesa di San Sebastiano a Lima.
Martino de Porres viene al mondo così: senza casa, senza nome, tanto che a lungo lo chiamano «cane mulatto». La sua è una storia che parla di umiltà e miseria, una realtà ben conosciuta in America Latina e che commuove soprattutto le persone di colore. Che non hanno atteso la canonizzazione ufficiale per rivolgere al frate di Lima il loro culto affettuoso e spontaneo.
Nelle difficoltà e nelle loro necessità lo hanno invocato sentendolo a loro particolarmente vicino. E non soltanto per la razza e la nazionalità, ma prima di tutto per la sua straordinaria carità verso gli umili.
Figlio di una schiava e di un nobile
Martino infatti nasce da una schiava di origine africana, poi liberata, e da un aristocratico spagnolo che lo riconosce solo a sei anni vincendo l’orgoglio e la ripugnanza nobiliare. Il piccolo Martino cresce dunque da figlio illegittimo – un enorme svantaggio nella Lima del tempo – con la mamma e la sorellina. Per guadagnarsi da vivere diventa allievo di un barbiere e anche, come si usava al tempo, medico cerusico. Vale a dire chirurgo, abile a maneggiare rasoio e forbici così come bisturi e ferri, esperto nella conoscenza dei rimedi galenici.
Davanti a sé avrebbe una strada tracciata. Ma Martino ha altre aspirazioni: vuole farsi frate domenicano. I figli di San Domenico hanno fondato il loro primo convento a Lima. In quanto mulatto, lo accolgono solo come terziario assegnandogli i compiti più umili (come spazzare per terra). Ma la cosa non lo turba affatto, al contrario. Quando si accorge del pessimo stato delle finanze del convento non esita a dire ai superiori: «Vendete me come schiavo».
I frati, che non ci mettono molto a avvedersi della sua straordinaria forza interiore, lo accolgono nell’Ordine come fratello cooperatore. Martino metterà a disposizione dei suoi confratelli anche le sue doti professionali di barbiere e cerusico per tutta la durata della sua vita in convento. Ma il frate mulatto si adopera anche in favore dei bisognosi, soprattutto indios e neri, che ricorrono a lui per le proprie necessità materiali e spirituali.
Consigliere di vescovi e viceré
Ben presto cominciano a chiamarlo «Martino della carità». Anche se privo di studi teologici alle spalle, a lui ricorrono prelati e vescovi per chiedergli consigli spirituali. Così le più alte autorità civili e ecclesiastiche come il viceré del Perù e l’Arcivescovo di Lima non esitano a accettare i suoi suggerimenti per risolvere le questioni più intricate.
Tra i suoi grandi amici annovera altri due grandi santi, suoi conterranei e contemporanei, come Rosa da Lima e Giovanni Macias.
Sempre circondato da poveri e malati, dei quali è guaritore e consolatore, quando a Lima scoppia una epidemia di peste frate Martino cura da solo i suoi sessanta confratelli salvandoli tutti. Tra i suoi prodigi non ci sono soltanto le guarigioni. Possiede anche il dono della bilocazione: si trova simultaneamente in luoghi diversi e lontani tra loro. Anche la sua sapienza è soprannaturale, al punto da riuscire a portare la luce su questioni di teologia pure senza mai averla studiata. Per tutti fra Martino de Porres è l’uomo dei miracoli.
Patrono di barbieri e parrucchieri
Muore nel 1639, stremato da violente febbri. Nel 1660 inizia l’iter canonico che però si fermerà per secoli. Soltanto nel 1962 papa Giovanni XIII lo farà santo. Paolo VI lo dichiarerà poi «patrono primario presso Dio di tutti i barbieri, parrucchieri, pettinatrici e loro affini... con tutti gli onori e i privilegi liturgici connessi».
Una designazione che premia l’aspetto più umile, ma certo non il meno prezioso, della santità del frate dei miracoli. Papa Paolo VI lo indicherà come modello ai professionisti del rasoio e delle forbici in modo che avessero ben presenti «quegli esempi di umanità e carità che egli lasciò… in modo che, mentre procurano un onesto ornamento al corpo, ricerchino pure la bellezza delio spirito».