Sant’Ignazio è stato il valoroso combattente che si è arreso a Cristo formando una compagna di «soldati» pronti a immolarsi per la sua maggiore gloria.
L’intera Chiesa oggi fa memoria di un gigante della fede, il fondatore della Compagnia di Gesù e padre degli Esercizi spirituali, una delle figure capaci di incidere profondamente non soltanto nella storia religiosa, ma anche in quella civile e culturale.
Ignazio, Íñigo in basco, nasce nel 1491 in un piccolo castello della Basca, ultimo rampollo di una famiglia nobile che per stemma aveva due lupi attorno a una pentola: «Lobo y olla», lupo e pentola, dal quale deriva il nome nobiliare dei Loyola.
Le tradizioni di allora volevano che i figli cadetti venissero destinati alla carriera ecclesiastica. Come ultimo dei figli, Ignazio viene perciò avviato al sacerdozio. A 14 anni riceve infatti la tonsura. Il problema è che l’ultimo rampollo dei nobili Loyola non mostra una particolare inclinazione per la vita religiosa. Anzi, proprio per nulla. In testa ha ben altri progetti, nati dalla frequentazione dei romanzi cavallereschi e di avventure amorose.
Via verso l’avventura e gli amori
Si fa perciò ricrescere i capelli, indossa abiti eleganti e vistosi, e si lancia verso l’avventura. Così diventa prima paggio, poi ufficiale brillante e galante, infine valoroso combattente al seguito di Carlo V. Durante l’assedio di Pamplona da parte delle truppe del re francese Francesco I combatte come un leone e solo un colpo d’archibugio che gli fracassa la gamba, rompendola in più punti, lo costringe a desistere.
I santi scacciano la noia e creano altri santi
Ferito, deve lasciare la città, mentre i francesi lo omaggiano con gli onori militari. Fa rientro in barella nel suo castello, dove lo aspetta una convalescenza lunga e dolorosa. E soprattutto noiosa per il giovane e avventuroso ufficiale. A alleviarne il peso provvede la cognata che ripesca, da una cassapanca, due vecchi libri. Ma non si tratta dei romanzi cavallereschi tanto amati da Ignazio, bensì di una Vita di Gesù e della Leggenda aurea di Jacopo da Varazze.
In mancanza d’altro, Ignazio fa di necessità virtù adattandosi a quelle strane letture. Dovevano servirgli solo ad ammazzare la noia, piegheranno invece il suo orgoglio rivelandosi provvidenziali. Ad un tratto arriva infatti l’illuminazione che gli sconvolge la vita. Il giovane eroe di Pamplona è conquistato, mente e anima, dalle gesta degli atleti di Cristo, al confronto delle quali le avventure dei cavalieri gli appaiono adesso imprese di ben poco conto. È allora che capisce che non è nel fragore della battaglia o nell’euforia della vittoria che va ricercato il senso della vita, ma diventando un umile e fedele seguace di Cristo lungo i temerari sentieri della carità e della fede.
La nuova vita di Ignazio
Zoppica ancora quando si alza dal letto. Ma è un altro Ignazio quello che si rimette in piedi: non più valoroso ufficiale spagnolo, ma intrepido milite della Chiesa. Dopo la guarigione, va a rendere omaggio alla più umile e gloriosa delle creature: la Vergine Maria. Si reca in pellegrinaggio alla Madonna di Montserrat, ai piedi della quale depone i vestiti da cavaliere e le armi da combattente.
Da lì prosegue il pellegrinaggio, che durerà a lungo. Con la barba lunga, i capelli incolti e abbigliato come un mendicante, attraversa la Spagna e l’Italia, giungendo infine in Terrasanta. Qui medita di ritirarsi in un eremo della Tebaide per far vita di penitenza. Ma stavolta è Dio ad avere in serbo per lui ben altri progetti.
Il lungo peregrinare aveva accresciuto in lui l’inquietudine, anziché spegnerla. Una certezza però era maturata nel suo animo: la volontà di essere un missionario di Cristo. Al tempo stesso si rende conto però che l’efficacia dell’apostolato dipendeva anche da una solida cultura teologica e umana, a lui quasi del tutto mancante.
Il ritorno sui banchi di scuola
Così, una volta rientrato in patria, ritorna umilmente sui banchi di scuola. Prima a Barcellona, poi ad Alcalà e infine a Parigi, dove si laurea nel 1535 diventando il «magister Ignatius».
A Roma gli viene l’idea, non di una nuova congregazione, ma di una «compagnia»: la Compagnia di Gesù, per difendere la Chiesa dall’eresia, come aveva difeso la città di Pamplona assediata dai nemici. Una compagnia di «soldati di Cristo» pronti a combattere per la «maggior gloria di Dio». Il tutto in totale fedeltà alla chiesa e al suo capo visibile, il papa.
Ai suoi confratelli detta i famosi Esercizi Spirituali, un libretto da “fare” più che da leggere, per formare interiormente i nuovi soldati di Gesù. Lo scrittore Rino Cammilleri li ha definiti una «vera e propria fitness di igiene mentale e spirituale», allestita da qualcuno che ne aveva esperienza diretta. Così negli Esercizi ignaziani si apprende, fra l’altro, a «discernere» (cioè a scegliere) tra una buona idea e una tentazione. Perché il male, spesso e volentieri, si presenta con la maschera del bene. Un vero toccasana per i principianti fai-da-te dell’ascesi e della mistica.
Un generale sempre sollecito verso i suoi soldati
La Compagnia di Gesù, così organizzata, lancerà i suoi «soldati», diventati ben presto numerosi e agguerriti, sui tanti fronti del mondo da conquistare a Cristo. Il maestro Ignazio, generale della Compagnia di Gesù, è il primo a sottomettersi ala rigorosa disciplina della Compagnia, ben presto celebre per la sicurezza dottrinale e la totale fedeltà alla Chiesa e al Papa.
Per sé Ignazio, sempre zoppicante e sorridente, non chiede nulla. Pensa soltanto ai disagi e alle sofferenze dei suoi figli lontani, in prima linea a per il trionfo della Chiesa come apostoli e missionari. «Li amo tanto — dirà una volta — che vorrei sapere il numero delle pulci che li divorano».
Obbediente fino alla morte
Un giorno, verso la fine di luglio del 1556, in una Roma soffocata (come oggi) dalla canicola, Ignazio si sente male. Capendo che era prossima la fine, segue la disciplina della vita comune chiedendo al segretario di andare a chiedere al papa la benedizione in «articulo mortis». Il segretario, affaccendato, gli risponde che sarebbe andato l’indomani. Nella notte i confratelli lo sentono mormorare: «Ah, Dio mio». La mattina successiva lo trovano in agonia. Ignazio muore così senza aver ricevuto la benedizione papale, obbediente fino all’ultimo, come aveva voluto che fossero obbedienti anche i suoi «soldati», pronti a qualunque sacrificio ad majorem Dei gloriam, per la maggiore gloria di Dio, come recita il motto ancor oggi in vigore nella Compagnia di Gesù.
A proclamare santo il fondatore della Compagnia di Gesù, diventata una delle colonne portanti della Chiesa cattolica, sarà Gregorio XV nel 1622.
Preghiera a Sant’Ignazio di Loyola
Dio, che a propagare maggiormente la gloria del tuo nome, per mezzo del beato Ignazio provvedesti la Chiesa militante di nuovo sussidio, concedi che col suo aiuto e a sua imitazione noi combattendo in terra meritiamo di essere coronati con lui in cielo.