La «Santuzza», come viene chiamata con devozione dai palermitani, ha operato un grande miracolo, molti secoli dopo la sua morte.
Giovane donna che ha vissuto da eremita dopo aver abbandonato tutto per consacrarsi a Dio solo.
Oggi cade tradizionalmente la festa di Santa Rosalia, tanto cara ai siciliani. Soprattutto ai palermitani. Rosalia infatti è la patrona di Palermo: è la «Santuzza», come la chiamano gli abitanti del capoluogo siciliano, tanto venerata e amata quanto appare incerta la storia della sua vita.
Le notizie su di lei, che un attento biografo ha definito «la figlia più dolce di Palermo», infatti sono scarne. Su Rosalia ha indagato a lungo uno storico seicentesco di nome Ottavio Gaietani, ma senza arrivare a risultati concreti, morendo amareggiato nel 1620.
Il ritrovo delle reliquie e la miracolosa intercessione contro la peste
Qualche anno dopo, nel 1625, l’interesse attorno a Rosalia però si riaccende quando la santa si dice sia apparsa a una donna per indicarle il luogo della sua sepoltura. Le ricerche nel luogo indicato – una grotta sul Monte Pellegrino, nelle vicinanze di Palermo – danno i loro frutti. Vengono effettivamente trovate delle ossa, senza però qualche iscrizione ad indicarne l’appartenenza.
Le reliquie vengono trasportate a Palermo, dove infuria una tremenda pestilenza. L’epidemia cessa quando i resti giungono nella cattedrale, dove si trovano ancora oggi, un arrivo seguito dalla processione solenne per le vie cittadine.
Il vescovo della città, Giannettino Doria, incarica una commissione di medici e teologi di pronunciarsi sull’autenticità delle ossa. Nel 1625 la commissione, dopo aver studiato accuratamente la questione, afferma la possibilità che i resti siano effettivamente appartenuti a Santa Rosalia.
Nel frattempo, in un’altra grotta fuori Palermo, presso il convento domenicano di Santo Stefano di Quisquina, i muratori all’opera per dei lavori di restauro rinvengono un’iscrizione latina incisa nella roccia in maniera assai rudimentale che afferma: Ego Rosalia Sinibaldi Quisquine et Rosarum Domini filia amore Domini mei Jesu Christi in hoc antro habitari decrevi: «Jo Rosalia Sinibaldi, figlia delle rose del Signore, per amore di Gesù Cristo, mio Signore, ho deciso di abitare in questa grotta di Quisquina».
Il racconto della tradizione
L’iscrizione, ritenuta di mano della Santa, conferma in parte una tradizione orale secondo la quale Rosalia, vissuta nel XII secolo, sarebbe stata figlia del principe Sinibaldo, cugino del re Guglielmo I.
Secondo la tradizione, la bellissima e virtuosa Rosalia, destinata a diventare la moglie di un nobile locale, fugge di casa il giorno del fidanzamento ufficiale. La fanciulla trova rifugio sulle selvagge montagne della Quisquina, sottraendosi alle ricerche del padre e del promesso sposo.
Quando la Quisquina non le sembra più sicura, Rosalia si trasferisce nell’inaccessibile solitudine del monte Pellegrino. Qui rimane per pochi anni, facendo vita di penitenza e confortata dalle più dolci visioni, lottando anche contro insidiose tentazioni.
Prima di morire, il 4 settembre, forse del 1160, Rosalia desidera ardentemente di poter ricevere i Sacramenti. Li riceve grazie a un monaco di nome Cirillo che, misteriosamente avvertito da una visione, sale l’impervia montagna, trova la grotta e amministra alla fanciulla morente il corpo di Cristo.
Nel 1630 entra nell’elenco dei santi grazie a papa Urbano VIII sull’onda della devozione partita appunto dal ritrovamento delle reliquie e dal miracoloso intervento durante la terrificante epidemia di peste che aveva decimato la città di Palermo.
Oggi la grotta del monte Pellegrino dove Rosalia ha chiuso gli occhi a questo mondo è meta di pellegrinaggi non soltanto da Palermo e dalla Sicilia.
Preghiera a Santa Rosalia
Esaudiscici o Dio, nostro Salvatore affinché come ci rallegriamo per la festa della beata vergine Rosalia, così veniamo ammaestrati nella vera devozione.