Paolo Miki è stato il primo giapponese a morire da martire per testimoniare la propria fede in Cristo Gesù.
Sarà terribilmente suppliziato, a perfetta immagine del Signore, assieme ad altri 25 compagni, offrendo la propria vita e perdonando i suoi carnefici come aveva fatto Gesù in croce.
Un gesuita colto e grande nella predicazione
Paolo Miki nasce nel 1556 a Kyoto nel 1556, in una comunità cristiana evangelizzata per primo da San Francesco Saverio. Attorno ai vent’anni Paolo entra in un collegio dei gesuiti. Ne uscirà, dopo aver completato gli studi tipici dei gesuiti, con una grande bagaglio di cultura e di conoscenza delle dottrine e delle tradizioni del buddismo, Una preparazione che gli permetterà di diventare un ottimo predicatore capace di propiziare diverse conversioni.
Tutto sembra andare bene. Ma nel nel 1596 un giorno lo shogun Taikosama, irritato da quello che reputava un eccessivo proselitismo da parte di alcuni missionari europei, fa arrestare tutti i sacerdoti cattolici. Tra di loro c’è anche Paolo Miki, imprigionati insieme a 25 cristiani, tra sacerdoti e laici, compresi due ragazzetti di appena 11 e 13 anni.
Imprigionato con 25 compagni per la fede in Gesù
Paolo Miki viene catturato ad Osaka, con due compagni. Lo trasferiscono poi in carcere a Meaco. È lì che trova altri cristiani e missionari. Con lui gli imprigionati per la fede in Gesù Cristo sono ventisei in tutto: sei frati francescani, tre gesuiti giapponesi e diciassette laici giapponesi, tra i quali i due ragazzi di 11 e 13 anni.
Taikosama è implacabile e farà torturare tutti i suoi prigionieri in ogni modo per costringerli all’abiura. Per spingerli a rinnegare la fede cristiana tutti dovranno subire raffinate e umilianti torture come il taglio dell’orecchio sinistro e l’esposizione al pubblico ludibrio da parte della popolazione.
Il martirio di Paolo Miki e dei suoi compagni
I persecutori cercano in ogni modo di far rinnegare la fede ai ventisei compagni. Ma nessuno di loro cede alle torture e nessuno viene meno al cristianesimo. Così saranno martirizzati il 5 febbraio 1585. I carnefici li crocifiggeranno su una collina nelle vicinanze di Nagasaki, che sarà chiamata successivamente la «santa collina». Il ragazzino tredicenne, crocifisso come gli altri, intonerà il cantico «Lodate, fanciulli, il Signore».
Ad assistere al terribile supplizio era arrivata una folla numerosa, chiamata per coprire di ogni genere di insulti e offese i condannati alla crocifissione. Invece tutti seguiranno l’agonia di Paolo Miki e dei suoi compagni con commossa ammirazione. Prima di morire, Paolo Miki si rivolge al popolo per perdonare, sull’esempio di Cristo, i suoi crocifissori.
I ventisei martiri di Nagasaki, legati con funi sulle croci, saranno finiti con due lance incrociate, che gli trafiggono trapassando loro il cuore.