Africane martirizzate, le Sante Perpetua e Felicita si trovano a condividere la stessa sorte e la affrontano con eroiche virtù cristiane.
Le Sante Perpetua e Felicita sono entrambe esempio di fede salda vissuta fino al martirio. Erano i tempi della persecuzione dell’imperatore Settimio Severo, nel III secolo a Cartagine, il luogo dove vivevano queste due donne. Perpetua, figlia di un nobile pagano, aveva 22 anni ed era una matrona perché moglie e madre di un bimbo ancora in fasce.
Felicita era la sua giovane serva ed era incinta. Proprio per questo in un primo momento scampò al martirio, perché la legge romana vietava l’uccisione di una donna in gravidanza. Ma subito dopo aver partorito seguì gli altri compagni nella fede nella tortura e nella morte. Di Perpetua si sa, come riferito dalla Passio che narra di lei e della sua ancella, che era intelligente ed istruita. Come lei anche Felicita era stata conquistata dalla fede in Cristo. Fu proprio Perpetua a scrivere la Passio che riporta le notizie sulla loro persecuzione e lo fece durante il periodo della prigionia.
Un gruppo di cristiani martiri
Le due donne insieme ai cristiani Saturnino, Secondulo e Revocato furono dapprima fermate da un controllo delle guardie imperiali. Quando fu accertato che erano tutti cristiani, furono arrestati. Perpetua racconta ciò che accadde con queste parole: “Fummo messe in prigione e ne rimasi sbigottita, perché non mi ero mai trovata tra tenebre così folte. La sera stessa feci una lunga preghiera e una visione mi apparve. Vedevo una scala d’oro che dalla terra poggiava in cielo, ma così stretta che una sola persona poteva montare. Ai piedi della scalda stava accovacciato un enorme serpente. Vedevo in cima Saturo, e mi invitava a salire: “Vieni, ma bada che il serpente non ti morda”. “Non mi morderà, perché in me è Gesù Cristo”. A questo nome il serpente allungò e si scosse sbarrando la strada, ma gli posi il piede sul dorso come fosse il primo gradino della scala. Da allora abbandonammo ogni speranza in questo mondo”.
Quando furono incarcerati, questi amici erano ancora solo catecumeni. Il loro catechista Saturo non era in città e per questo non fu arrestato. Quando tornò si autodenunciò per raggiungerli e in prigione diede loro il Battesimo. Si dice che tutti loto non pregavano per salvarsi, ma per affrontare il martirio con fede salda.
Due giorni prima della data stabilita per il martirio, il 7 marzo 203, nacque il bimbo di Felicita. Mentre partoriva, un soldato disse a Felicita in tono sprezzante se si sarebbe lamentata ancor di più per i dolori del martirio o per quelli del parto. E lei rispose: “quello che patirò allora non lo patirò io, ma lo soffrirà Gesù per me”. Il Martirologio Romano ricorda che Felicita “nei dolori del parto si lamentava, ma gettata alle fiere era lieta”.
Liete vanno incontro alla morte
Perpetua prima di essere uccisa incontrò suo padre che le chiede di rinnegare la sua fede per salvarsi. La ricattava mostrandole il bambino e cercando di instillarle il senso di colpa perché lo avrebbe lasciato solo. Ma lei rispose semplicemente: “sono cristiana”.
Fu poi un autore rimasto anonimo a scrivere il racconto delle fasi del martirio nella Passio. Questo gruppo di cristiani condannati a morte venne portato nell’anfiteatro romano dove tutti subirono le torture dei carnefici: li percuotevano con le cinghie di cuoio e uncini di ferro. Li chiamavano “lavati” in riferimento al Battesimo per cui erano stati a contatto con l’acqua e lavati dal peccato.
Perpetua e Felicita furono legate ad una ferocissima mucca cheavrebbe dovuto dilaniarle. Gli altri compagni invece venivano dati in pasto ad altre belve: un leopardo e un orso. In particolare le due sante affrontarono tutto lietamente. Dopo la tortura delle bestie non erano ancora morte e vennero finite con la decapitazione. Il culto di Perpetua e Felicita ebbe una grande diffusione in tutta la cristianità e il loro dies natalis fu inserito nel Depositum martyrum nel 336.