Oggi la Chiesa celebra il grande Domenico, fondatore dell’Ordine dei Predicatori e appassionato devoto della Vergine.
A Maria è legata la gloria più grande di questo gigante della fede, ardente difensore della verità cattolica.
L’iconografia lo rappresenta con una stella sulla fronte, simbolo della luce che illumina le menti oscurate dalla tenebra dall’errore. Non è impresa semplice tracciare il profilo spirituale di un gigante della fede come San Domenico di Guzman.
Di lui Dante disse che «negli sterpi eretici percosse». Si trattava di sterpi di una dottrina molto pericolosa, che aveva danneggiato diverse anime: quella propugnata dai Catari, ossia quei «puri» che, riportando in auge la vecchia teoria manichea, erano convinti che il mondo fosse governato da due opposti principi: il bene e il male.
Secondo il dualismo cataro bene era l’anima spirituale, male era il corpo fisico. Per i Catari il bene stava nello spirito, il male nella materia. Da qui la loro inappellabile condanna della famiglia, della società e perfino della stessa Chiesa visibile in quanto realtà “contaminate” dal peccato della materia.
Fiero avversario del catarismo
Dell’eresia catara lo spagnolo Domenico fu implacabile avversario. Castigliano di Calaruega, dove aveva visto la luce nel 1170, fu contemporaneo di un altro grande fondatore di ordini come Francesco d’Assisi. Di nobili natali, Domenico di Guzman (questo il nome della sua famiglia) aveva trascorso serenamente e santamente la prima parte della sua esistenza come canonico di Osma, in Spagna. In viaggio attraverso la Provenza entrò però in contatto con l’eresia catara.
Questa esperienza gli fece tastare con mano quanto questa falsa dottrina fosse diffusa in Linguadoca, favorita dalla politica dei castellani, ostili al Re di Francia, che fomentavano la ribellione e la propagazione dell’eresia non soltanto a Parigi ma anche a Roma. A Tolosa Domenico passerà un’intera notte a discutere col suo ospite, un cataro convinto che soltanto alle luci dell’alba finirà per riaprirsi nuovamente al sole della verità cattolica.
Fu in quel frangente che comprese la difficoltà di convincere del suo errore chi crede in buona fede di essere nel vero. Così come di quanta preparazione dottrinale e umana delicatezza servissero per portare avanti una simile controversia. È più facile infatti convincere un peccatore del suo errore, anche se questi poi fatica a liberarsi dal giogo del suo peccato, che non un eretico in buona fede. Quest’ultimo infatti stenta a rinnegare una dottrina che ha solleticato il suo orgoglio, un vizio che facilmente si traveste con la maschera della virtù.
La nascita dei frati predicatori
Domenico si convinse così della necessità di fondare un ordine di frati poveri, che non facessero sospettare gli eretici di avere qualche interesse materiale. Un ordine di studiosi caritatevoli, in grado di padroneggiare gli argomenti intellettuali per combattere gli errori senza però dimenticare la benevolenza verso gli erranti.
Ai suoi frati Domenico diede il nome di Predicatori. Fati che però, sull’esempio del loro fondatore, non dovevano predicare soltanto a parole, ma anche con le opere. Sempre lieto e sorridente, San Domenico fu uomo di profonda e intensa preghiera oltre che assiduo nello studio. Instancabile predicatore, mostrò pazienza nelle controversie, coraggio nella ricerca della verità e nel richiamare alla conversione gli erranti (che cercarono pure di assassinarlo). Solito camminare a piedi nudi, Domenico dormiva per terra, digiunava e si mortificava nella convinzione che questi suoi sacrifici fossero utili per salvare le anime che voleva affrancare dall’errore.
Quale fu la più grande gloria di San Domenico
«Uno scolaro, – si legge nel Libro d’Oro dell’Ordine – udendo predicare il beato Padre
San Domenico ottimamente, gli dimandò in che libri studiava, massimamente perché vedeva che le divine Scritture secondo il suo beneplacito esponeva. Rispose l’uomo santo:
— Figliolo, nel libro della carità più che in nessun altro libro ho studiato: questo libro insegna ogni cosa».
San Domenico morì a Bologna nel 1221, ad appena cinquantun anni, consumato nel fisico dalle fatiche. La sua principale gloria rimane però la divulgazione del Santo Rosario. Proprio quanto predicava in Linguadoca per convertire i catari, davanti all’insuccesso della sua predicazione decise infatti di ricorrere all’intercessione di Maria, che gli ispirò la recita di 150 Ave Maria intervallate da 15 Pater e dalla considerazione dei 15 misteri della fede.