L’OMS ritiene che la transessualità non sia una malattia mentale. Dunque, se arreca dei disordini affettivi e sociali, non ci si deve rivolgere alla medicina psichiatrica?
Mentre tra gli omosessuali l’aggiornamento dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, fa gran scalpore, perché scrolla dalle loro spalle un peso atavico, quello di essere considerati mentalmente disturbati, per noi, preoccupati, da sempre, per il loro approccio spirituale alla vita, è semplicemente una conferma del loro “disagio devozionale”.
La transessualità, pertanto, “La disforia di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali dell’International Classification of Diseases, per essere inserita in un nuovo capitolo delle condizioni di salute sessuale”. “È ormai chiaro che non si tratti di una malattia mentale e, classificarla come tale, può causare una enorme stigmatizzazione per le persone transgender”, dicono quelli che sembrerebbero degli esperti in materia.
La chiarificazione, ora, garantirà l’accesso degli omosessuali ai trattamenti sanitari. Ciò vorrebbe, forse, dire che noi contribuenti pagheremo anche per le loro transizioni di genere e per le cure ormonali?
Il professor Paolo Valerio, psicologo alla clinica dell’Università Federico II di Napoli, nonché direttore del Centro di Ateneo SINAPSI, si dice d’accordo con la rettifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha aggiornato la classificazione internazionale delle malattie.
Ma l’inghippo a noi pare palese, poiché, se da un lato l’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che la disforia di genere non è una malattia mentale, dall’altro chiede la massima attenzione medica, verso le persone che ne sono affette, come a dire: spalanchiamo ai transessuali le porte dei laboratori medici, perché ne usufruiscano a loro piacimento, autorizzati da una patologia che non è mentale, ma deformante, socialmente parlando!
Ma non è questa forse la definizione -semplificata- del disagio mentale o delle patologie psichiatriche?
Persino Freud -nient’affatto credente- riteneva pericolosissimo proiettare nella vita reale un’immagine di se non supportata dai fatti, per non creare una discordanza abissale tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, in quanto ciò non è sano. Sano è consapevolizzarsi sulla propria condizione e accettarla, facendone buon uso, poiché la nostra affermazione in questo mondo non dipende dal gusto sessuale, ma dalla profondità dell’anima.
Antonella Sanicanti
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