Il Reverendo Padre Angelo dei domenicani mette in luce un aspetto poco chiaro sulla tematica del peccato: questo porta sempre con sé un’offesa verso Dio, verso chi lo compie e verso la comunità.
La tematica è molto profonda e, purtroppo, poco chiara. Nel rispondere ai dubbi di un fedele, il Reverendo Padre Angelo dei domenicani espone una chiarissima riflessione sulla tematica del peccato. Nello specifico, la domanda del fedele faceva riferimento a un Sacerdote che ha definito l’atto di dolore una “tremenda preghiera”, perché, a suo parere, Dio non può offendersi. In realtà, come ha messo spiegato il Reverendo Padre, non è proprio così, perché il peccato, qualsiasi peccato, porta dietro di sé una triplice offesa.
Innanzitutto, sostiene Padre Angelo, il peccato è un’offesa contro sé stessi. Nell’esplicare questa teoria, il Sacerdote richiama le fonti più illustri e autorevoli in possesso: Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino e il Santo Pontefice Giovanni Paolo II. Diceva infatti Sant’Agostino che “il peccato è una maledizione e che per conseguenza dal peccato ne deriva morte e mortalità”, affermazione poi ripresa da San Tommaso d’Aquino e fatta propria nella Somma Teologica.
Ma c’è un’altra affermazione, della medesima valenza simbolica, raccolta dal Reverendo Padre negli scritti di Giovanni Paolo II: “Il Peccato è un atto suicida”, proprio perché “Come rottura con Dio, il peccato è l’atto di disobbedienza di una creatura che, almeno implicitamente, rifiuta colui dal quale è uscita e che la mantiene in vita”. In maniera ancora più esplicita, la Sacra Scrittura ci conferma tutto ciò: nel libro del Siracide così è scritto: “Chi pecca, danneggia sé stesso”.
Ma il peccato non è solo un’offesa verso chi lo compie, è anche un’offesa verso Dio. Non è dunque vero quanto affermato da quel Sacerdote nella Tv dei Vescovi. La Passione e morte di Gesù non rappresentano forse – si chiede Padre Angelo – la più grande offesa nei confronti di Nostro Signore, che è Dio sceso in terra? Ed è la stessa lettera agli Ebrei che conferma che chi espone il Figlio di Dio all’infamia lo crocifigge di nuovo. Non è forse l’infamia un’offesa?.
Padre Angelo prende poi in esempio uno dei peccati, purtroppo, più diffusi: la bestemmia. L’insulto, perché di insulto si tratta, è sicuramente una delle più grandi offese verso Dio.
Offesa verso sé stessi, offesa verso Dio, ma anche offesa verso la comunità. Nel Reconciliatio et paenitentia San Giovanni Paolo II diceva che il peccato di ciascuno di noi, si ripercuote in qualche modo sugli altri.
Questa è, nello specifico, l’altra faccia della medaglia rispetto a quello spirito di solidarietà che si sviluppa nella Comunione dei Santi. Ogni anima che si eleva, eleva anche il mondo. Ma, allo stesso tempo, un’anima che si abbassa al peccato, abbassa con sé la Chiesa e il mondo intero. Per questo, Padre Angelo ci insegna che chi pecca, offende tre volte: in primis sé stesso, poi Dio e la comunità tutta.
Fabio Amicosante
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