Il 29 novembre prossimo, prima domenica d’Avvento, entrerà in vigore la nuova versione del Padre Nostro. Ma c’è qualcos’altro da cambiare e riguarda noi.
Il tradizionale “Non indurci in tentazione” verrà sostituito con “non abbandonarci alla tentazione”
Il Nuovo Messale è già in fase di preparazione e verrà consegnato subito dopo la Pasqua di quest’anno. Per arrivare alla nuova dicitura si è intrapreso un lungo percorso di approfondimento tra studiosi, teologi, liturgisti e biblisti, dopo che Papa Francesco aveva pubblicamente espresso, durante una trasmissione televisiva, l’idea che non considerasse “buona” l’attuale traduzione, in quanto “Dio non induce in tentazione”.
Molti hanno poi specificato che, in realtà, il primo ad avviare il cammino fino al cambiamento della preghiera più famosa della cristianità è stato Giovanni Paolo II, seguito poi da Benedetto XVI.
Il tradizionale “Non indurci in tentazione” verrà così sostituito con “non abbandonarci alla tentazione”. La nuova formulazione vuole indicare un Dio che, con la sua dimensione paterna, non abbandona mai i suoi figli, nemmeno nel momento più difficile e doloroso della tentazione. Con un doppio significato: non lasciare che i Suoi figli entrino dentro la tentazione, e non lasciarci soli quando vi siamo già dentro. Tra l’altro, in Italia coesistono due versioni del passo ‘et ne nos inducas in tentationem’ , quello della Bibbia Cei del 2008 (che già recitava “non abbandonarci”) e quella del Messale Romano in lingua italiana, del 1983.
Il verbo latino inducere infatti (in greco l’eisfèrein) indica “guidare verso”, “introdurre”, mentre nel significato dell’italiano parlato la parola “indurre” nel tempo è diventata più assomigliante a “costringere”. Questo perché la lingua è uno strumento vivo per definizione, in continuo mutamento. Lo stesso vale per la liturgia che, come spiega la “Dei verbum”, è uno degli elemento centrale della Tradizione viva della Chiesa.
Assieme al Padre Nostro cambierà anche il Gloria, e in particolare il passaggio in cui si recita “Pace in terra agli uomini di buona volontà”, che verrà sostituito con “Pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Una versione considerata più vicina a quella strettamente evangelica, presente nell’annuncio della nascita di Gesù da parte degli angeli. Allo stesso tempo però, non basta recitare la nuova versione del Padre Nostro: quello che serve è anche un cambiamento del nostro approccio con la preghiera che Gesù dettò ai suoi discepoli.
Non solo i testi, ma anche i nostri atteggiamenti avrebbero bisogno di una revisione. Ci sono infatti numerosi errori che ancora tendiamo a compiere durante la liturgia.
Per esempio, proprio a proposito del “Padre Nostro”, troppo spesso, al termine della recita della preghiera, durate la messa, si tende a pronunciare la parola Amen. Questo è sbagliato per il semplice motivo che la preghiera non è ancora terminata; il sacerdote infatti continuerà dicendo: ““Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace…” e solo al termine di tutte le invocazioni si conclude con un Amen poco prima dello scambio della pace. Questo purtroppo dimostra come per molti, certe orazioni, siano diventate semplici cantilene che si ripetono senza meditare sulle parole che pronunciamo.
Altro gesto legato al Padre Nostro, che non è ufficialmente previsto nei comportamenti liturgici della Chiesa, è il prendersi per mano. Questo gesto di fraternità cristiana, infatti potrebbe, all’interno della messa, non essere gradito al vicino arrecando così motivo di distrazione. Diverso è se è il celebrante a richiedere all’assemblea tale comportamento in qualche occasione particolare.
Proviamo dunque a riflettere sulle meravigliose parole che Cristo stesso ci ha lasciato. Poniamo la dovuta attenzione ed il giusto comportamento, non tanto come norma, ma come segno di devozione al Padre Nostro che è nei cieli.
Giovanni Bernardi
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