“Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: “Signore, insegnaci a pregare”.” (Luca 11,1).
Fu allora che Gesù insegnò loro il Padre nostro. Del resto, egli era un/il Maestro e, come tale, gli Apostoli si aspettavano che desse loro un mezzo per entrare in così intima confidenza con Dio da poterlo chiamare addirittura “Padre”. Gesù offrì loro la maniera di sentirsi figli del Signore, come lui stesso stava predicando.
Il Padre nostro, ad una attenta analisi, si suddivide in piccole porzioni. Le prime sono promesse/adesioni, le ultime delle invocazioni/richieste di aiuto.
Quella preghiera ci dice, sin da subito, che Dio è il nostro Padre e noi siamo, dunque, tutti fratelli.
Dio è pura Verità, glorificato e onorato come il “Santo”. Gesù dice: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14, 21).
Così, il Nome del nostro Creatore, che è in cielo, viene esaltato, santificato, perché noi crediamo che il suo Regno, quello della vita eterna e beata, possa realizzarsi.
Dio entra, chiamato dai suoi stessi figli, nelle vite di ognuno e mai se ne distacca.
Il Signore, ospite del cuore del mondo, sarà un Re che porterà pace, giustizia, amore, al servizio dei suoi devoti: “Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo” (Matteo 13, 31-33) e che poi diverrà l’albero più grande. “Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami”.
E’ questo un modo per dichiarare che la volontà di Dio si possa fondere con la nostra e viceversa, perché, come un tutt’uno, ci adoperiamo per la realizzazione del Bene supremo.
Dio vuole che ci sia lui nelle nostre invocazioni: “Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6, 40), per adempiere le sue promesse.
In questo, si esprime la nostra piena fiducia e accettazione della cura che avrà di noi, donandoci ciò di cui, ogni giorno, abbiamo bisogno: il pane di vita, non solo il cibo materiale. Sappiamo, infatti, che “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Matteo 4, 4).
La Parola di Dio nutre la nostra anima, la eleva ad essere riscattata dalle cose terrene. A Dio, e solo a lui, chiediamo il necessario per vivere e soprattutto la capacità di amare il fratello, tanto da riuscire a perdonarlo sempre.
Dio, del resto, ci sosterrà anche quando saremo caduti nel peccato, ma -ricordiamolo- nella esatta misura in cui anche noi perdoneremo gli altri: “Se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Matteo 6, 15).
Il male compiuto deve essere necessariamente ricambiato con il bene, dunque, per essere considerati degni figli del Signore nostro: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene“ (Romani 12, 21), altrimenti come ci distingueremo, noi cristiani, dagli altri che amano solo chi li ama?
Per quanto riguarda poi le tentazioni, esse sono permesse da Dio. Nella sua infinita amorevolezza, ci lascia liberi di scegliere se compiere il male o preservarcene, perché esprimiamo, senza costrizioni, di amare Dio o “Mammona”.
Noi possiamo chiedere che egli ci liberi dalle tentazioni, che ci aiuti, cioè, a non cedere ad esse. “Pregate per non cadere in tentazione” (Matteo 26, 41), disse Gesù, nostro fratello, nel Getsemani, in uno dei momenti più tremendi della sua esistenza terrena.
Antonella Sanicanti
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