Le stimmate, come le altre piaghe che sanguinavano dolorosissime, erano il segno della Passione di Cristo, che si esprimeva attraverso quel Santo, che il Signore rendeva partecipe delle sofferenze del suo Figlio.
Ma il Sant’Uffizio non la pensava così e, più di una volta, si pronunciò contrario alla soprannaturalità delle ferite di Padre Pio.
Così, il 31 Maggio del 1923, il Sant’Uffizio comunicò ufficialmente: “La Suprema Sacra Congregazione del Santo Uffizio, cui spetta di provvedere all’integrità della Fede e dei Costumi, premessa una inchiesta sui fatti che vengono attribuiti al P. Pio da Pietrelcina dei Minori Cappuccini del Convento di San Giovanni Rotondo nella Diocesi di Foggia, dichiara non constare da tale inchiesta della soprannaturalità di quei fatti ed esorta i fedeli a conformarsi nel loro modo di agire a questa dichiarazione”.
Oltre a provocare in Padre Pio uno stato d’animo indescrivibile che lo faceva sentire abbandonato dalla chiesa in cui tanto aveva creduto (e verso la quale mai disubbidì o perse fiducia), la sentenza arrecava danno alla sua spiritualità e a quella dei fedeli.
A Padre Pio, infatti, per lungo tempo venne vietato persino di celebrare la Santa Messa.
“Non ho mai chiesto di essere un esempio”, avrebbe ripetuto, tra se e se, in quei momenti. “Mai ho voluto essere guardato come qualcuno di speciale, ma solo come un tramite per rivolgere la mente e il cuore all’Altissimo. Questo sarebbe il conforto che desidero. Invece, hanno fatto di me un reietto”.
E a questo si univano le tentazioni del demonio, che voleva farlo sentire un uomo inutile.
Dopo quella sentenza del 31 Maggio del 1923, Padre Pio si ritirò nella sua cella, in lacrime. Aprì il Vangelo di Luca e lesse: “Padre, se vuoi allontana da me questo calice. Però non la mia volontà sia fatta, ma la tua” e subito gli apparve un Angelo: “Sei venuto a confortami, piccolo amico della mia infanzia”. Bastò questo per per fargli comprendere che sarebbe stata una dura battaglia, ma che il cielo era con lui.
Antonella Sanicanti
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