In questo stesso giorno del 1992, l’Italia al centro di una terribile tragedia, ancora una volta, per mano della mafia.
Era il 1992 quando un’auto, con 90 kg di esplosivo al suo interno, venne fatta esplodere in via D’Amelio a Palermo. Era lì che il giudice Paolo Borsellino e, proprio in quel luogo trovò la morte, insieme ai suoi uomini di scorta. Una delle pagine più buie della storia d’Italia.
La lotta alla mafia non si è più fermata, anzi. Il loro sacrificio non è stato invano. Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 sono due date che l’Italia intera, e non solo la Sicilia, ha impresso bene nella propria memoria. Giovanni Falcone prima, e Paolo Borsellino poi: sono loro che la mafia ha ucciso, ma non di certo gli ideali per i quali combattevano.
Oggi, a 29 anni di distanza da quelle stragi, il ricordo è ancora vivo ed indelebile e, specialmente le nuove generazioni, hanno il diritto di conoscere e di sapere chi, come e quando, tutto questo è accaduto.
Era il 19 luglio, alle ore 16:59, quando una Fiat 126 rubata contenente circa 90 kg di esplosivo telecomandati a distanza, venne fatta esplodere in via Mariano D’Amelio al civico 21 a Palermo, sotto il palazzo dove all’epoca abitavano la madre e la sorella di Paolo Borsellino. Una giornata come tutte le altre e, essendo domenica, il giudice aveva deciso di recarsi da sua madre per una visita.
La mafia lo sapeva ed aveva deciso di ucciderlo, allo stesso modo di come, solo due mesi prima, aveva fatto con l’altro magistrato, l’amico più caro di Borsellino, Giovanni Falcone.
Un’esplosione che provocò l’inferno: “Il giudice e i miei colleghi erano già scesi dalle auto, io ero rimasto alla guida, stavo facendo manovra, stavo parcheggiando l’auto che era alla testa del corteo […] Improvvisamente è stato l’inferno. Ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sedile. Non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto” – ha raccontato, nella ricostruzione fatta, l’unico sopravvissuto della strage, l’agente di Polizia Antonino Vullo.
Il calore, le fiamme, l’odore di morte, e il giudice Borsellino insieme a 5 agenti di scorta lì morti. Borsellino se lo sentiva: dopo la morte di Falcone, il prossimo obiettivo era lui. Le loro indagini avevano portato alla luce gli intrighi e le affiliazioni che c’erano fra la mafia e lo Stato, e non solo in Sicilia.
La paura c’era nel cuore di Borsellino, e anche la voglia bramosa della mafia di toglierlo da mezzo, convinti che quel tipo di indagini non avrebbe dato più fastidio.
Ed invece no. A 29 anni di distanza, quel filone e quelle indagini sono continuate, si sono ampliate sempre di più e la lotta alla mafia continua, ancora più serrata di prima. E, soprattutto, Palermo e l’Italia intera non hanno dimenticato il coraggio di Borsellino e Falcone.
Anche quest’anno, anche se in maniera più contingentata, il ricordo si è nuovamente celebrato. “Le immagini dell’attentato di via d’Amelio resteranno per sempre impresse nei nostri occhi, e costituiscono una ferita ancora aperta, una delle pagine più buie della nostra storia nazionale” – ha dichiarato, in un videomessaggio inviato dal presidente del Parlamento Europeo, Sassoli.
Un convegno, dal titolo “Il tempo che verrà tra memoria e futuro” ha dato l’avvio alle celebrazioni per il 29esimo anniversario della strage di via D’Amelio. Oggi, invece, letture e laboratori per i più piccoli per dare “colore” alla strada della strage, con la manifestazione “Coloriamo via D’Amelio”, ma anche confronti fra studenti. Il tutto organizzato dal ministero dell’Istruzione in collaborazione il Comune di Palermo, il Centro studi Paolo e Rita Borsellino, l’Agesci e la Kore.
Sempre oggi, il questore Laricchia visiterà le tombe del giudice Borsellino e dei poliziotti. Alle 11, in Cattedrale, la celebrazione della Santa Messa, in ricordo delle vittime, officiata dall’arcivescovo Corrado Lorefice. Alle 16,58, in via D’Amelio, un momento di silenzio per ricordare le vittime dell’eccidio.
Perché non si ripeta mai più e il ricordo di coloro che hanno donato la propria vita per la legalità e la libertà non vada perduto.
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ROSALIA GIGLIANO
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