Cinquant’anni fa, il 27 novembre 1970, ci fu l’attentato contro Paolo VI. Papa Montini era appena atterrato a Manila per il viaggio più lungo del pontificato.
Un uomo vestito da prete, impugnando con una mano un crocifisso e con l’altra un pugnale, lo attaccò. Paolo VI stava visitando l’Asia e l’Oceania, spinto dalla prima conferenza dei vescovi dell’Asia Orientale. Il suo obiettivo era quello di rivolgersi alle popolazioni che vivono dall’altra parte del mondo, per portare loro la Parola di Cristo.
Il viaggio prevedeva una prima tappa tre giorni a Manila, poi una puntata in un’isola polinesiana, quindi tre giorni a Sydney, in Australia, per poi proseguire per Giakarta, la capitale della musulmana Indonesia. In seguito, il Papa avrebbe volato verso Hong Kong. Il tutto “per poche ore, ma sufficienti, noi speriamo per testimoniare a tutto indistintamente il grande Popolo Cinese la stima e l’amore della Chiesa cattolica e nostro personale”.
L’ultima tappa era infine prevista a Colombo. Paolo VI partì il 26 novembre, con scalo a Teheran, dove venne ricevuto dallo scià di Persia, Reza Pahlavi. In seguito ci fu una sosta non prevista a Dacca, nell’allora Pakistan orientale, per un incontro con le popolazioni che erano state appena colpite da un tifone. Lo scalo era dovuto al fatto che il Papa volle consegnare una somma di denaro per contribuire ai soccorsi a favore della popolazione.
La mattina del 27 novembre, però, ci fu l’attentato che rischiò di costare la vita al Papa, appena sbarcato all’aeroporto. Sventato, però, grazie alla pronta reazione dei suoi collaboratori. Il Papa, infatti, conosceva i rischi a cui andava incontro, ma decise comunque di affrontarli senza alcuna paura.
“Il Papa fu avvertito che era previsto qualche possibile attentato, a partire dal viaggio in Terra Santa fino all’ultimo in Estremo Oriente”, è quanto spiegò ai media vaticani il segretario particolare don Pasquale Macchi. “Sempre i servizi segreti misero in allarme la Segreteria di Stato. E ogni volta il Papa affrontò i viaggi senza alcuna preoccupazione, confidando in Dio”.
Montini fu aggredito da un pittore boliviano, Benjamin Mendoza y Amor. L’uomo aveva trentacinque anni ed era vestito da sacerdote. In mano, teneva un crocifisso dorato. nell’altra, invece, un pugnale malese detto kriss, nascosto sotto un panno. L’uomo ferì il Papa al collo con un colpo. Per fortuna, finì a sbattere contro il colletto rigido.
L’altro colpo, invece, lo assestò al petto, giusto vicino al cuore. Il Pontefice, nei suoi appunti, ricostruì quella dura vicenda. “Se ben ricordo, dopo i saluti alle personalità schierate… vedo confusamente un uomo… il quale impetuosamente mi veniva incontro. Io pensavo che fosse uno dei tanti che volevano salutarmi o baciare la mano, o dire qualcosa… Appena egli fu davanti a me, mi diede con ambedue le mani, due formidabili pugni al petto, e poi subito due altri, tanto che io ne sentii la forte percossa”.
Poi, continuava nella descrizione Papa Montini, “Si montò in macchina. Vidi allora sulla manica (sinistra?) alcune piccolissime goccioline di sangue, e mi accorsi che una mia mano doveva aver toccato qualche cosa macchiato di sangue, forse la mano dell’ignoto aggressore. Continuavo ad avvertire sul petto l’impronta delle percosse, ma nulla più. Si arrivò alla cattedrale. All’atto di indossare i paramenti cercai di lavare le impronte sanguigne della mano, senza darmi altra ragione di ciò che era realmente accaduto”.
Subito dopo la cerimonia i medici accorsero a visitare il Pontefice, che era sconvolto e ferito. “Potei spogliarmi, e allora mi accorsi che la maglia, intrisa di sudore, aveva una grande macchia di sangue sul petto, dovuta a una piccola ferita, proprio vicina alla regione del cuore, superficiale e indolore: la maglia aveva contenuto l’emorragia, non copiosa del resto. Un’altra ferita, anche più piccola, quasi una scalfittura apparve, a destra, alla base del collo”.
Fu così subito medicato dal Professore Mario Fontana, e le due piccole ferite vennero poi tamponate e medicate nei giorni successivi.Il medico praticò un’iniezione antitetanica. Il che causò un attacco di febbre a Montini, a cui venne consigliato di sospendere gli impegni del pomeriggio. Il Papa invece andò avanti imperterrito con il suo programma. “Decise che il programma si svolgesse come previsto per non deludere le attese della gente e per mantenere il riserbo sull’accaduto”.
In quella giornata incontrò così, subito dopo l’attentato, il presidente Marcos, il Corpo diplomatico e con una delegazione proveniente da Formosa. Prestò Montini guarì, e di tutta la preoccupante vicenda rimase soltanto un piccolo inconveniente di viaggio. Oltre al grande rumore che subito prese il via in tutto il Pianeta. Il Parlamento italiano, ad esempio, sospese la seduta una volta giunta la notizia.
Il Pontefice espresse la sua riconoscenza per quanti si interessarono alla sua salute, e soprattutto “grazie al Signore che mi volle salvo e mi concesse di proseguire il viaggio”.
Giovanni Bernardi
Fonte: Vatican News
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