Il 7 giugno 1978, quando la Legge 194 diventava applicativa, il Beato Paolo VI fece sentire la sua voce.
«Noi non possiamo esimerci dal dovere di ricordare la riserva negativa a questa legge in favore dell’aborto, la quale è da ieri, come dicevamo, diventata operante anche in Italia, con grave offesa alla legge di Dio su tale tema estremamente importante della difesa dovuta alla vita innocente del bambino fino dal seno materno». Papa Montini si esprimeva così nell’udienza di quel giorno di 38 anni fa, richiamando tutti al «dovere» di dare la «dovuta osservanza» all’insegnamento della Chiesa, oscurato da quel provvedimento legislativo.
Davanti al «triste e ignobile ricorso all’aborto legalizzato», Paolo VI consigliava fermamente di «ricordare ai giovani, a tutti, i pericoli e i disastri della passione che sostituisce l’amore; l’intangibile dignità della vita umana, anche nei suoi più segreti ed umili gradini; promuovere ogni possibile e degna assistenza alla maternità bisognosa».
Nonostante la legge ormai in pieno vigore, queste parole furono comunque importanti per chi si mise a lottare contro un testo che ancora oggi non smette di essere intrinsecamente ingiusto. Ma quella legge era solo l’ultimo approdo di un cammino che aveva già segnato importanti tappe: la legge sul divorzio del 1970, a cui era seguita la perdente battaglia referendaria del 1974, e il nuovo diritto di famiglia sancito con la L. 175/75. Tutto ciò nell’Italia a piena trazione DC, un partito che si dichiarava manifestamente cristiano-cattolico e raccoglieva quasi il 40% dei consensi elettorali.
La consapevolezza della portata della 194 non mancava anche all’interno della Balena Bianca se l’onorevole Lattanzio diceva che quella legge stabiliva uno “spartiacque tra due tipi di società”. Ma l’on. Costamagna alla Camera nel marzo 1976 poteva affermare che “con la consapevole acquiescenza di noi democratici cristiani in questo Parlamento, sono anni che si va tentando di scristianizzare il nostro Paese”.
Quel processo di scristianizzazione si può ritenere sostanzialmente completato, la recente legge sulle unioni civili ha fatto cadere l’ultimo tassello del domino: l’equiparazione del matrimonio a qualsivoglia unione affettiva. La “consapevole acquiescenza” dei cattolici nella realizzazione di questo processo può trovare un nome: svolta a sinistra. Così sosteneva un grande pensatore cattolico, P. Cornelio Fabro (1911-1995), in un saggio intitolato La trappola del compromesso storico; riferito alla collaborazione messa in atto tra PC e DC in quegli anni. In fondo, ancora oggi siamo fermi a questo grande equivoco, pur essendo il comunismo archiviato dalla storia.
Il problema, infatti, è più profondo di una semplice questione di alleanze politiche: è il materialismo dialettico e storico che, secondo Fabro, impediscono qualsiasi forma di compromesso, perchè sono alla base di un machiavellismo implacabile. E’ la realpolitik.
Lo stesso Paolo VI, di fronte al risultato del referendum sul divorzio, ebbe a dire: “E’ per noi motivo di stupore e di dolore, anche perché a sostegno della tesi, giusta e buona, dell’indissolubilità del matrimonio è mancata la doverosa solidarietà di non pochi membri della comunità ecclesiale”. Era un chiaro monito ai cosiddetti “cattolici del no”, a quelli che, da cattolici, avevano fatto campagna per il divorzio.
La realpolitik è uno sport praticato anche oggi: sono tanti i politici che si dichiarano cattolici e ripercorrono le varie strade del compromesso. Paolo VI, sempre rivolgendosi ai “cattolici per il no” di quel referendum del 1974, diceva: «Vogliamo supporre che essi abbiano agito senza rendersi pienamente conto delle gravi incidenze del loro comportamento, anche se l’autorevole e pubblico richiamo fatto alle esigenze della legge di Dio e della Chiesa non avrebbe dovuto lasciare alcun dubbio».
Il problema comunque non era squisitamente politico, e questo anche il Beato Paolo VI lo aveva compreso, specialmente nei suoi ultimi dieci anni di pontificato. In particolare dopo la vicenda dell’encilicaHumanae Vitae del 1968. Al fondo c’era quella che Fabro chiamava “teologia senza dogmi” e la “morale senza legge”. «Equivoco del concetto moderno di libertà come “causa sui”, ossia identità di soggettivo e oggettivo al di là del bene e del male, del vero e del falso, mentre la libertà del cristiano, che deve vincere il mondo ed impegnarsi ad operare la salvezza dell’uomo, è fondata sulla verità e la verità ha per misura l’Essere Primo che è Dio».
Fonte : lanuovabq.it
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