La preghiera e l’impegno sono cardini per la costruzione di una famiglia di popoli, la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso. Così in sintesi l’Appello per la Pace 2016 letto ad Assisi davanti ad oltre 500 leader religiosi provenienti da tutto il mondo. Il messaggio chiude la tre giorni organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Diocesi della città umbra e dalle Famiglie Francescane sul tema: “Sete di Pace: religioni e culture in dialogo”. “Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza”, ha ribadito Papa Francesco nel suo discorso, esortando tutti ad “essere costruttori” di pace, di “cui l’umanità è assetata”. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti:
“Chi invoca il nome di Dio per giustificare il terrorismo, la violenza e la guerra, non cammina nella Sua strada: la guerra in nome della religione diventa una guerra alla religione stessa. Con ferma convinzione, ribadiamo dunque che la violenza e il terrorismo si oppongono al vero spirito religioso”.
E’ questo l’appello consegnato fisicamente ai bambini dai leader religiosi venuti da ogni parte del mondo in un’Assisi stracolma di pellegrini e fedeli. Un mandato al dialogo, all’incontro da portare a tutte le nazioni, affinché “si apra” “un nuovo tempo, in cui il mondo globalizzato diventi una famiglia di popoli”. Trent’anni dopo la storica iniziativa voluta da San Giovanni Paolo II, la terra di San Francesco illumina ancora una volta il globo intero con la “lampada della pace”. Tanti i momenti indimenticabili, come il sorriso del Papa ricambiato da Bartolomeo I, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, in un abbraccio tutto proiettato al futuro. Ripudio della violenza, dialogo, rispetto del Creato, centralità della preghiera sono stati i cardini di questi tre giorni intensissimi riassunti e declinati nel messaggio finale. E il Papa nel suo discorso, alla cerimonia conclusiva, riprendendo il tema dell’incontro internazionale dice che tutti “abbiamo sete di pace”:
“Abbiamo sete di pace, abbiamo il desiderio di testimoniare la pace, abbiamo soprattutto bisogno di pregare per la pace, perché la pace è dono di Dio e a noi spetta invocarla, accoglierla e costruirla ogni giorno con il suo aiuto”.
Francesco definisce poi l’indifferenza la “grande malattia del nostro tempo”:
“E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo, tristissimo paganesimo: cioè, il paganesimo dell’indifferenza“.
Il Papa, di fronte ad un mondo dilaniato da guerre che generano “povertà”, e “sofferenza”, ricorda il recente viaggio sull’isola greca di Lesbo con Bartolomeo I. Evoca gli occhi dei “rifugiati”, dei “bambini”, degli “anziani” in cui è impressa la paura, “il dolore della guerra, l’angoscia di popoli assetati di pace”. “Non c’è nessun domani nella guerra”, dice, sottolineando l’impegno a voler dar voce a quanti soffrono e sono senza voce, senza ascolto:
“Noi non abbiamo armi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera. In questa giornata, la sete di pace si è fatta invocazione a Dio, perché cessino guerre, terrorismo e violenze”.
Poi ribadisce le diversità delle tradizioni religiose e cita San Giovanni Paolo II nel dire che la pace invocata ad Assisi non è una semplice protesta contro la guerra e nemmeno è il risultato di negoziati, compromessi politici o di mercanteggiamenti economici, ma della preghiera. “Diverse sono le nostre tradizioni religiose – continua – ma la differenza non è per noi motivo di conflitto, di polemica o di freddo distacco”:
“Oggi non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismo e senza relativismo, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri”.
“Chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda”. “Ogni forma di violenza – prosegue – non rappresenta la vera natura della religione, è invece il suo travisamento e contribuisce alla sua distruzione”:
“Non ci stanchiamo di ripetere che mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa e non la guerra!”.
Il Papa parla ai leader delle religioni e ritorna sulla forza e concretezza della preghiera, che chiede mobilitazione delle “coscienze” per la difesa della “sacralità della vita umana”, “la pace tra i popoli” e la “custodia del Creato”. Preghiera, “volontà” e collaborazione per scongfiggere conflitti e “atteggiamenti ribelli” e costruire una pace vera:
“Non illusoria, non la quiete di chi schiva le difficoltà e si volta dall’altra parte, se i suoi interessi non sono toccati; non il cinismo di chi si lava le mani di problemi non suoi; non l’approccio virtuale di chi giudica tutto e tutti sulla tastiera di un computer senza aprire gli occhi alle necessità dei fratelli e sporcarsi le mani per chi ha bisogno”.
Francesco chiede di immergersi nelle situazioni e “dare il primo posto a chi soffre; di assumere i conflitti e sanarli dal di dentro; di percorrere con coerenza vie di bene, respingendo le scorciatoie del male”:
“Pace, un filo di speranza che collega la terra al cielo, una parola tanto semplice e difficile al tempo stesso”.
Poi declina la pace in un percorso di quattro parole: “Perdono”, “Accoglienza”, “Collaborazione” ed “Educazione”. Per gettare ponti d’incontro, di conversione, dialogo, collaborazione ed acquisire la cultura dell’incontro. “Il nostro futuro è vivere insieme – incalza – per questo siamo chiamati a liberarci dai pesanti fardelli della diffidenza, dei fondamentalismi e dell’odio”:
“I credenti siano artigiani di pace nell’invocazione a Dio e nell’azione per l’uomo! E noi, come Capi religiosi, siamo tenuti a essere solidi ponti di dialogo, mediatori creativi di pace”.
Ma l’appello è anche ai “Leader delle Nazioni perché non si stanchino di cercare e promuovere vie di pace, guardando al di là degli interessi di parte e del momento”:
“Non rimangano inascoltati l’appello di Dio alle coscienze, il grido di pace dei poveri e le buone attese delle giovani generazioni”.
Quindi, riprendendo l’esortazione che fece trent’anni fa San Giovanni Paolo II, ovvero che “la pace è un cantiere aperto a tutti”, ha esortato a questa assunzione di responsabilità per essere “insieme costruttori della pace che Dio vuole e di l’umanità è assetata”.
fonte: radiovaticana