Benedetto XVI è stato una figura di importanza assoluta per la storia della Chiesa e non solo. Perciò la speranza è che in futuro sia proclamato Dottore della Chiesa.
“Stimo la sua teologia e sono nella sua linea dottrinale. Credo e spero che nel futuro sarà proclamato Dottore della Chiesa”, ha affermato il cardinale George Pell, tornato a Roma da alcune settimane dopo il periodo di reclusione nelle carceri australiane. Tra i primi gesti compiuti al suo arrivo in Italia, infatti, il cardinale australiano è andato a visitare il Papa emerito Benedetto XVI.
Il titolo di Dottore della Chiesa, concesso da un Papa o da un concilio, è un riconoscimento molto importante che viene attribuito, in maniera eccezionale, a coloro che in qualsiasi epoca hanno affermato e difeso con i propri scritti l’ortodossia cristiana.
Attualmente, si contano solamente trentasei figure della Chiesa che possono vantarsi di questo titolo speciale, lungo tutto l’arco di duemila anni di storia della cristianità. Questo titolo viene dato solamente in via postuma, dopo un opportuno e preventivo processo di canonizzazione.
I requisiti necessari per la proclamazione di un Dottore della Chiesa, secondo la definizione data da Benedetto XIV, sono tre. Una dottrina eminente, un’insigne santità di vita, e infine la dichiarazione del Sommo Pontefice o di un Concilio Generale legittimamente radunato.
In origine vi appartenevano solo santi e teologi della Chiesa d’occidente, come ad esempio Sant’Ambrogio, Sant’Agostino da Ippona, San Girolamo e papa Gregorio I, proclamati dottori della Chiesa nel 1298 da Papa Bonifacio VIII. In seguito però, nel 1568, vennero proclamati dottori della Chiesa anche figure che appartenevano alla tradizione e alla Chiesa orientale, come Sant’Atanasio, San Basilio Magno, San Giovanni Crisostomo o San Gregorio Nazianzeno.
Ogni Dottore della Chiesa ha tuttavia una storia a sé, che li accomuna alla tradizione e allo stesso tempo li rendere unici e distinguibili dal resto. Spesso, per lo stile o per il pregio letterario delle loro opere, che siano testi scritti, trascrizione di discorsi pubblici o persino lettere private. Molti di loro composero opere apologetiche di rilevanza teologica, redatte per depositare la fede cristiana nel cuore dei fedeli e del popolo, o per combattere le terribili eresie che si sono succedute nei secoli.
Ci furono però Dottori della Chiesa che enfatizzarono l’aspetto dottrinale, come San Gregorio o Sant’Ambrogio. Altri, come Sant’Agostino da Ippona, l’aspetto autobiografico. Altri ancora, come San Giovanni della Croce o Santa Caterina da Siena, l’aspetto mistico.
Anche Benedetto XVI fu, nella scia delle altre figure riconosciute come Dottore della Chiesa, una delle personalità certamente più fuori da ogni schema e categoria. Il suo contributo al “Concilio Vaticano II, alla riscoperta degli antichi Padri della Chiesa, al rinvigorimento della dottrina, alla purificazione e al consolidamento della Chiesa“, è stato sia fautore di profondo rinnovamento per la chiesa, che di conservazione della vera dottrina e della vera fede.
“Come teologo del popolo, non ha mai dimenticato che lui viene da una esperienza di vita semplice”, capace di difendere “il punto di vista dei semplici fedeli contro le imposizioni fredde di molti professori universitari”, ha spiegato il suo biografo Peter Seewald. Che ne è certo: “Lui è il tipo di personaggio che può semplicemente essere considerato il dottore della Chiesa per l’era moderna”.
Ratzinger è infatti riuscito a dimostrare con grande chiarezza e lucidità di pensiero “che la religione e la scienza, la fede e la ragione, non sono opposti”. In quanto “la ragione è un garante per la religione perché le permette di non scivolare in false fantasie o nel fanatismo violento”.
Per Benedetto XVI la Chiesa costituisce un forte perno di “resistenza contro le aberrazioni seducenti del mondo, contro l’abbandono di Dio, contro l’ateismo fondamentalista e contro il neopaganesimo”. Nonostante ciò, l’insigne teologo tedesco è anche un uomo “pragmatico, che desidera percepire la vera natura delle cose e non si lascia accecare o manipolare da certe mode ma, allo stesso tempo, è aperto a ciò che deve necessariamente essere cambiato, trovando il coraggio di fare le cose che devono essere fatte”.
Lo dimostrano i tanti processi avviati all’intero del Vaticano, tanto per la lotta alla pedofilia quanto per la riforma dell’economia e della finanze della Santa sede, il tentativo di combattere la corruzione e l’immoralità sotto tutti i punti di vista, senza tuttavia cedere mai al relativismo culturale o morale. Ma al contrario, indicandolo come il vero male del nostro tempo, senza cedere a debolezze, sentimentalismi o ipocrisie di ogni tipo.
Non ha infatti avuto alcuna titubanza nel rinvenire in un certo relativismo morale, definito nientemeno che “dittatura del relativismo“, una componente di forte presenza anti-Cristica. Lo stesso ha fatto per quanto riguarda il doveroso dialogo con altre confessioni, culture e religioni. Dove Ratzinger si è sempre posto come profondamente aperto al prossimo, all’altro e al diverso, ma non ha mai ceduto sul terreno del sincretismo, dell’annacquamento religioso, spirituale e morale e della cedevolezza verso un dialogo che non può che impostarsi sul riconoscimento della verità ultima, senza mezze misure.
Ratzinger “è un insegnante per tutta la Chiesa, perché va sempre al centro, a Gesù Cristo”, ha spiegato Sewald. “Egli ci ha mostrato Gesù, ancora una volta, l’intero Gesù e non l’immagine di Gesù che è stata ridotta a brandelli da alcune teologie e da alcune rappresentazioni multimediali”.
Tutto ciò ha conferito a Benedetto XVI “l’autorità e i doni per dimostrare che possiamo fidarci del Vangelo, sia spiritualmente che storicamente”. “Credo che Papa Benedetto abbia dato un contributo decisivo contro la diluizione del Vangelo e posto le basi per la fede nel ventunesimo secolo”, ha concluso Seewald.
Il biografo ha infatti ricordato che la forte avversione subita dal Papa tedesco durante il suo Pontificato non è un caso, tutt’altro. Da una parte, è stato il segnale di una incomprensione di un pensiero talmente forte e rivoluzionario da essere non facile da comprendere. Dall’altro, la testimonianza di un uomo che non ha avuto alcuna paura di scontrarsi con l’ipocrisia e gli errori del mondo, non pensando mai di mischiarsi, compromettersi o allo stesso tempo perdersi con la mondanità e la menzogna.
“Forse il fatto che egli è sempre calunniato rende la sua testimonianza ancora più vera. Alla fine della sua vita, in ogni caso, è in pace con se stesso e nel Signore, perché ha sempre svolto i suoi compiti con tutti i doni, spirituali e umani, che ha ricevuto”.
Francesco Gnagni
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