In un testo abbastanza lungo e ricco di dettagli, il Papa emerito Benedetto XVI ha chiarito le idee sulla sua posizione, in merito agli abusi sessuali, imputati a molti esponenti della Chiesa cattolica.
Il testo cerca di comprendere come, nel mondo e nella Chiesa, si sia potuto arrivare ad un tale degrado morale, che, addirittura, ha portato a orrendi crimini sui minori.
Così, Benedetto XVI scorre la storia, dagli anni ’60 ad oggi, per spiegare che l’origine di questo male, ormai diffuso e radicato, è probabilmente da ricercarsi nella distribuzione di materiale pornografico al grande pubblico, che ha portato, in qualche modo, a far credere che alcuni atteggiamenti siano leciti, possibili, cambiando le coscienze e favorendo delle “licenze sessuali” che vanno dai club omosessuali nei seminari alla pedofilia.
Ecco alcuni salienti stralci del testo di Benedetto XVI, riferiti alle informazioni raccolte, durante l’incontro in Vaticano dei Presidenti di tutte le Conferenze Episcopali del mondo, nello scorso Febbraio.
Poiché, i crimini sui minori sono stati tanti, lo scopo dell’incontro era quello di cercare un modo per “rendere di nuovo credibile la Chiesa” e riscoprire la fede vera.
“Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come Pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi -pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità- come, a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questa ripresa”.
Tutto cominciò negli anni ’60. “In Germania Käte Strobel, la Ministra della salute di allora, fece produrre un film a scopo informativo, nel quale veniva rappresentato tutto quello che sino a quel momento non poteva essere mostrato pubblicamente, rapporti sessuali inclusi. Quello che in un primo tempo era pensato solo per informare i giovani, in seguito, come fosse ovvio, è stato accettato come possibilità generale”.
“Tra le libertà che la rivoluzione del 1968 voleva conquistare, c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti, negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché, nella piccola comunità di passeggeri, scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel vestire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio”.
Per questi ed altri accadimenti similari, si arrivò al “collasso della teologia morale cattolica”, mentre la coscienza collettiva si allontanava sempre più da ciò che le Sacre Scritture dettavano, in merito alla distinzione tra bene e male.
Questo portò ad un nuovo concetto: “Non c’era più il bene, ma solo ciò che, sul momento e a seconda delle circostanze, è relativamente meglio”.
“Il 5 gennaio 1989, fu pubblicata la “Dichiarazione di Colonia”, firmata da 15 professori di teologia cattolici. Questa si concentrava su diversi punti critici del rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle dimostranze, crebbe tuttavia molto velocemente, sino a trasformarsi in grido di protesta contro il magistero della Chiesa, raccogliendo in modo ben visibile e udibile il potenziale dì opposizione che, in tutto il mondo, andava montando contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II.
Papa Giovanni Paolo II, che conosceva molto bene la situazione della teologia morale e la seguiva con attenzione, dispose che s’iniziasse a lavorare a un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Fu pubblicata con il titolo Veritatis Splendor, il 6 agosto 1993, suscitando violente reazioni contrarie da parte dei teologi morali. In precedenza già c’era stato il Catechismo della Chiesa cattolica, che aveva sistematicamente esposto, in maniera convincente, la morale insegnata dalla Chiesa.
Non posso dimenticare che Franz Böckle -allora fra i principali teologi morali di lingua tedesca, che dopo essere stato nominato professore emerito si era ritirato nella sua patria Svizzera- in vista delle possibili decisioni di Veritatis Splendor, dichiarò che, se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che, sempre e in ogni circostanza, vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva. Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito: Böckle morì l’8 luglio 1991”!
Le cose peggiorarono ancora, fino a che non si diffuse, ampiamente e incontrastato, il concetto secondo cui la “Chiesa non abbia, né possa avere, una propria morale”.
“In diversi seminari, si formarono club omosessuali, che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari”.
Poi, “la questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti, nel frattempo, era già cresciuta, divenendo un problema pubblico. Così, i vescovi chiesero aiuto a Roma perché il diritto canonico, così come fissato nel Nuovo Codice, non appariva sufficiente per adottare le misure necessarie.
In un primo momento, Roma e i canonisti romani ebbero delle difficoltà con questa richiesta; a loro avviso, per ottenere purificazione e chiarimento, sarebbe dovuta bastare la sospensione temporanea dal ministero sacerdotale”. Non si verificò e, dunque, si andò avanti per tentativi, per comprendere come considerare e definire quei prelati che si erano macchiati di pedofilia.
“Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: protezione giuridica dell’accusato e protezione giuridica del bene che è in gioco. Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione giuridica della fede. Nella coscienza giuridica comune, la fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. È una situazione preoccupante, sulla quale i Pastori della Chiesa devono riflettere e considerare seriamente”.
Benedetto XVI e Papa Giovanni Paolo II si mossero in questo modo, “sull’ opportunità di attribuire la competenza su questi delitti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, con la titolatura “Delicta maiora contra fidem”. Con questa attribuzione diveniva possibile anche la pena massima, vale a dire la riduzione allo stato laicale, che invece non sarebbe stata comminabile con altre titolature giuridiche. Non si trattava di un escamotage per poter comminare la pena massima, ma una conseguenza del peso della fede per la Chiesa”.
Oggi il Papa emerito si chiede: “Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi?”.
“In primo luogo, direi che, se volessimo veramente sintetizzare al massimo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signore ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio. È redento chi si affida all’amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull’incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini”.
“Una società nella quale Dio è assente -una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse- è una società che perde il suo criterio. Nel nostro tempo, è stato coniato il motto della “morte di Dio”. Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male”.
Benedetto XVI -e noi con lui- si chiede anche “Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica”!
E cosa rispondere a chi è stato abusato? “Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale, che era suo superiore visto che lei era chierichetta, introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei con queste parole: “Questo è il mio corpo che è dato per te”. È evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione, senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. Sì, dobbiamo urgentemente implorare il perdono del Signore e soprattutto supplicarlo e pregarlo di insegnare a noi tutti a comprendere nuovamente la grandezza della sua Passione, del suo sacrificio. E dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia”.
“La crisi causata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisa¬mente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo”.
Ma l’uomo potrebbe sbagliare ancora. E’, dunque, a Dio che dobbiamo ritornare, perché ci aiuti ad attuare la trasformazione necessaria, delle nostre coscienze, del nostro cuore, nel mondo intero, che ha davvero perso ogni fiducia nel Sommo e unico Bene.
Antonella Sanicanti
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