Dopo la decisione di Papa Francesco sulla celebrazione con rito antico, cresce la divisione nella Chiesa e arrivano i primi dissidenti.
Don Davide Pagliariani, Superiore Generale della Fraternità San Pio X e terzo successore di Mons. Lefebvre, è noto come il “capo dei tradizionalisti cattolici”. La comunità che guida, infatti, meglio conosciuta come dei Lefebrviani, dal nome appunto del fondatore e fin dalla ragione che ne ha portato alla nascita, rifiuta il Concilio Vaticano II e tutto ciò che ne consegue, ponendosi in una posizione definita “sedevacantista”.
Molti la immaginerebbero quindi una comunità “scismatica”, nel senso che si pone sul limite dell’appartenenza alla Chiesa cattolica, ma negli ultimi anni sono stati fatti tanti tentativi, a partire da Ratzinger, per non fare in modo che questo avvenga. Con l’ultimo ordine di Papa Francesco sul divieto di celebrare la Messa in latino, nel Rito tridentino pre-conciliare, questo dialogo pare invece andare in direzione totalmente opposta, per incrinarsi ancora maggiormente rispetto alla situazione precedente.
Il segnale concreto di questa rottura viene dalla Chiesa di Santa Maria Madre di Dio, nella frazione forlivese di Castellaccio, dove don Pagliarani ha celebrato la Messa in latino nonostante il divieto del Pontefice. Nel corso della celebrazione, in rito tridentino, il religioso ha quindi avuto modo di commentare, per la prima volta, il Motu Proprio “Traditionis Custodes” che Papa Bergoglio ha emesso appena venerdì scorso.
Secondo questa disposizione saranno i vescovi ad essere responsabili del rispetto delle celebrazioni secondo il volere del Papa, stabilendo chi può celebrare in latino, e con il sacerdote rivolto verso l’altare, e chi no. Complice il fatto che secondo Francesco molti scelgono questa strada con l’intenzione di dividere la Chiesa e di andare contro all’autorità di Roma. In ogni caso, queste celebrazioni non potranno più avvenire nelle chiese parrocchiali.
Bergoglio ha affermato che le indagini a livello vaticano “hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire”. “Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso ‘fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente’, è stato spesso gravemente disatteso”, ha proseguito Francesco.
Che ha definito l’azione svolta nella Chiesa finora e negli scorsi decenni “una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni”.
Con questo testo, quindi, Francesco archivia definitivamente il “Summorum Pontificum” e di conseguenza tutte le precedenti disposizioni di Ratzinger e di Giovanni Paolo II per quanto riguarda la libertà di celebrazione della messa in latino nella forma anteriore a quella del Concilio Vaticano II. In quella precisa modalità, cioè, con cui celebrano usualmente la loro messa i lefebvriani al Castellaccio, nella chiesa fuori dalla gerarchia della diocesi di Forlì.
Domenica mattina, così, di certo non hanno cambiato la loro modalità. “Non possiamo oggi non spendere due parole su quanto successo due giorni fa quando questa messa, la messa di sempre, la messa di S. Pio V, la messa degli Apostoli di fatto è stata vietata”, ha così affermato don Pagliarani durante la celebrazione. “Ecco noi dobbiamo chiederci: Perché questa messa è un pomo di discordia? Perché questa messa divide?”, ha continunato il successore di Lefebvre.
La cui risposta è, a suo giudizio, molto chiara. “Perché questa messa veicola la vita spirituale, il sacerdozio e la Chiesa stessa in modo incompatibile a quello della messa di oggi di Paolo VI. Questa messa è la continuazione nella storia della battaglia di Nostro Signore. Sulla croce e con la passione Egli sconfigge per sempre il Demonio ed il peccato indicandoci quale sia la direzione che dobbiamo seguire”. Don Pagliarani, quindi, parrebbe sentirsi investito di un’autorità all’interno della Chiesa che però di fatto non ha, quella di possedere una presunta autentica interpretazione del Vangelo, e che andrebbe a suo giudizio contro quella di Roma.
Il sacerdote, a tale proposito, ha infatti affermato che “i secoli di vita della Chiesa non sono altro che la continuazione di quella lotta, di quella battaglia. Che continua solo con questa messa mediante la quale Nostro Signore rende presente ed attualizza la Croce, la redenzione, la necessità della espiazione e della riparazione al peccato. E’ Dio che si offre sulla Croce: è un sacrifico infinito che si offre a noi che stiamo entrando in questo momento nella storia e che cozza contro la concezione del cristianesimo per cui siamo tutti salvi e non c’è più bisogno di lottare. Questo è il punto”.
La critica dei tradizionalisti più agguerriti si fa quindi ancora più netta dopo la presa di posizione del Vaticano guidato da Bergoglio. Anzi, secondo i Lefebrviani si tratta di una posizione, quella assunta da Roma, che darebbe alla Chiesa cattolica una posizione molto più in linea con l’impostazione della Chiesa protestante, che non con quella cattolica.
“È lo stesso discorso di Lutero, di cinque secoli fa, celebrato come il campione della riforma cristiana colui che avrebbe ristabilito l’ordine contro la corruzione della chiesa. Lutero odia la messa”, ha aggiunto ancora Pagliarani. “La considera una bestemmia perché impone la lotta, la stessa lotta di nostro signore di duemila anni fa. Questa messa chiede al vero cristiano di portare la sua parte di croce durante la settimana, nella nostra vita quotidiana. Non vi scoraggiate: questa messa non può sparire dalla faccia della Terra, arriverà alla fine dei tempi, fa parte delle promesse di Nostro Signore che non ci potranno mai mancare ai fedeli che lo cercano e vogliono seguirlo per disprezzare il mondo e per partecipare con Lui alla sua Vittoria”.
Le parole pronunciate in conclusione da don Pagliarani si fanno sempre più dure. “L’inganno e l’astuzia del Demonio è stata quella di far credere che possa esserci cristianesimo senza la croce. Ma la Croce è la nostra corda a cui aggrapparci contro il demonio, come Maria che si è aggrappata alla Croce del Figlio. Questa messa è come quella perla preziosa per acquistare la quale un uomo vende tutti i suoi averi. Perché è tanto preziosa? Perché tramite questa messa, la sua comunione ed il suo sacrificio noi riceviamo un annuncio, una primizia del paradiso. In una Chiesa che ha il patema di trovare nuove vie di evangelizzazione noi diciamo che la unica e vera via di evangelizzazione, da due millenni, è solo questa messa”.
Insomma, si tratta di quella reazione che molti temevano potesse accadere, e di punto in bianco è avvenuta. Da tempo infatti era nell’aria che il Papa potesse modificare la normativa sulla Messa tridentina, come è di fatto nelle sue prerogative. Però era anche altrettanto certo immaginarsi che sarebbe andato incontro a una protesta, che ora è sempre più forte all’interno della Chiesa, in chi non si riconosce in maniera più o meno forte nelle decisioni prese dall’attuale Pontefice argentino.
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Molte diocesi legate al rito antico si sono affrettate nel comunicare che la Messa in latino non scomparirà affatto. Questo è accaduto in modo particolare negli Stati Uniti, dove la polarizzazione all’interno della Chiesa e della conferenza episcopale nazionale, sia dal punto di vista dottrinale, politico-sociale o anche della liturgia, è certamente molto forte. Altri sostengono invece, con una posizione mediana e conciliante, che Papa Francesco abbia cercato di tutelare Concilio Vaticano II quanto i desideri di chi ha molto a cuore la celebrazione con il rito antico. Per quanto la sensazione più diffusa è che si tratti di un colpo secco a questi ultimi.
Giovanni Bernardi
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