Si comincia a pensare alla seconda fase dell’emergenza sanitaria, ma il Papa ci mette in guardia da un altro pericolo, di un virus che ha definito peggiore: quello dell’egoismo.
“Dimenticare chi è rimasto indietro”, è il pericolo da cui il Pontefice ci ha invitato ad allontanarci, durante l’omelia celebrata per la seconda domenica di Pasqua, detta Domenica in albis.
Un “egoismo indifferente” che si trasmette “a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me”, ha detto il Papa dalla chiesa di santo Spirito in Sassia a Roma che San Giovanni Paolo II volle come Santuario della Divina Misericordia, e dove ancora oggi viene ospitato il dipinto di Gesù Misericordioso che segnò la vita di Suor Faustina Kowałska, la mistica polacca divenuta santa che diede vita alla devozione della Divina Misericordia. Wojtyla infatti definì questa giornata la domenica della Misericordia, prendendo spunto dalle visioni avute da Suor Faustina.
In tutto questo però, non bisogna assolutamente abbandonare la speranza. Anche perché, ne è certo Francesco, il coronavirus può essere l’occasione per “risanare le ingiustizie”. Se la domenica di Pasqua “abbiamo celebrato la risurrezione del Maestro, oggi assistiamo alla risurrezione del discepolo”, ha detto il Papa commentando il passo evangelico in cui si riporta la vicenda di San Tommaso.
“La risurrezione del discepolo inizia da qui, da questa misericordia fedele e paziente, dalla scoperta che Dio non si stanca di tenderci la mano per rialzarci dalle nostre cadute”, ha spiegato il Papa. Il Signore “vuole che lo vediamo così: non come un padrone con cui dobbiamo regolare i conti, ma come il nostro Papà che ci rialza sempre”.
Tutto questo perché capita spesso nella vita di procedere a tentoni, camminando ma spesso cadendo, e poi rialzandosi per cadere ancora. La misericordia di Dio però, ha spiegato il Papa, è come una mano tesa che quando siamo a terra ci invita a rialzarci. “Dio sa che senza misericordia restiamo a terra, che per camminare abbiamo bisogno di essere rimessi in piedi”.
Ma a chi è scoraggiato per le continue cadute nella propria vita, Francesco ha risposto citando l’esperienza di Suor Faustina, a cui Gesù disse: “Io sono l’amore e la misericordia stessa; non c’è miseria che possa misurarsi con la mia misericordia”. “Una volta, poi, la santa disse a Gesù, con soddisfazione, di avergli offerto tutta la vita, tutto quel che aveva”, racconta Francesco. “Ma la risposta di Gesù la spiazzò: Non mi hai offerto quello che è effettivamente tuo. Che cosa aveva trattenuto per sé quella santa suora? Gesù le disse con amabilità: Figlia, dammi la tua miseria”.
Questo evento ci invita infatti a non dimenticarci mai di chiederci: “Ho dato la mia miseria al Signore? Gli ho mostrato le mie cadute perché mi rialzi? Oppure c’è qualcosa che tengo ancora dentro di me? Un peccato, un rimorso del passato, una ferita che ho dentro, un rancore verso qualcuno, un’idea su una determinata persona”.
Il Signore però nella sua misericorida infinita continua ad attendere con pazienza e amore che “gli portiamo le nostre miserie, per farci scoprire la sua misericordia”
L’esempio dei discepoli a questo proposito è molto indicativo. Avevano abbandonato Gesù nel bel mezzo della Passione, e di questo si sentivano colpevoli. Tuttavia, quando Gesù li ritrova, non fa nessuna predica, ma semplicemente mostra le sue piaghe. Facendole toccare a San Tommaso che finalmente, conoscenza l’amore di Gesù e la sofferenza che aveva patito per lui, poté credere. Fu l’amore sconfinato del Signore a segnare il cuore di San Tommaso.
È questa la risurrezione del discepolo, dice il Papa. “Si compie quando la sua umanità fragile e ferita entra in quella di Gesù. Lì si dissolvono i dubbi, lì Dio diventa il mio Dio, lì si ricomincia ad accettare sé stessi e ad amare la propria vita”. Lo stesso è accaduto oggi per molti di fronte al coronavirus.
“Nella prova che stiamo attraversando, anche noi, come Tommaso, con i nostri timori e i nostri dubbi, ci siamo ritrovati fragili. Abbiamo bisogno del Signore, che vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità”. Ci riscopriamo cioè come “bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso. E se, come il cristallo, siamo trasparenti di fronte a Lui, la sua luce, la luce della misericordia, brilla in noi e, attraverso di noi, nel mondo”.
Questo vale per tutti, perché “la misericordia non abbandona chi rimane indietro”. Per questo bisogna evitare di farsi colpite dal rischio “dell’egoismo indifferente”, che “si trasmette a partire dall’idea che la vita migliora se va meglio a me, che tutto andrà bene se andrà bene per me”. Finendo per “selezionare le persone, a scartare i poveri, a immolare chi sta indietro sull’altare del progresso”.
L’esempio da cui bisogna imparare è quello delle “comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli“. Dove “tutti i credenti avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. Un atteggiamento che “non è ideologia, è cristianesimo”, ha detto il Papa.
Così oggi il coronavirus deve essere una lezione che “ci scuota dentro”. “È tempo di rimuovere le diseguaglianze, di risanare l’ingiustizia che mina alla radice la salute dell’intera umanità!”. Come insegna anche Suor Faustina, che dopo avere incontrato Gesù scrisse: “In un’anima sofferente dobbiamo vedere Gesù Crocifisso e non un parassita e un peso… Signore, ci dai la possibilità di esercitarci nelle opere di misericordia e noi ci esercitiamo nei giudizi”
Giovanni Bernardi
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