Nelle difficoltà, la fede rinasce. Un dato che ormai appare più che certo, come dimostra l’altissimo numero di chi segue le messe in televisione.
Sui social e sulle tv infatti, dalla Messa mattutina del Papa a Santa Marta fino ai Rosari promossi dalla Cei, i dati parlano di un grande seguito, e di un forte desiderio di pregare insieme.
La preghiera straordinaria di Papa Francesco davanti a una piazza San Pietro vuota, venerdì 27 marzo, è stata seguita da 17 milioni 400mila spettatori, ovvero il 64,6% del totale delle persone che stavano guardando la tv. Su Raiuno e Tv2000 i rosari sono poi continuamente seguiti. La domanda che però ci si pone è: basterà questo per il ritorno della fede? Ha provato a rispondere su Avvenire il sociologo Franco Garelli, autore del recente libro “Gente di poca fede” in cui si ritrae un paese, l’Italia, “incerto su Dio ma ricco di sentimenti religiosi”.
Numeri che indicano come tra “i cattolici più attivi e convinti c’è un grande movimento di ricerca di fonti spirituali”. Che si concretizza nell’utilizzo delle nuove tecnologie a supporto della preghiera. Specialmente in un momento come questo in cui si cerca in qualche modo di compensare la mancanza della liturgia eucaristica, e allo stesso tempo si ha bisogno di un conforto di fronte al dolore e alla paure provocate dal virus.
La Chiesa infatti si è impegnata molto per offrire ai cristiani alternative alla Messa che si possano concretizzare via web e sociale. A partire dalla Messa mattutina del Papa, ovviamente la più seguita. Ma anche i sacerdoti parrocchiali hanno grande seguito nella propria comunità, perché permettono quel senso di continuità e di vicinanza che è più difficile trovare altrove.
Colpisce però che anche il mondo laico sembra avere una certa attenzione per le parole e per i gesti del Pontefice. Papa Francesco è infatti una figura molto attenta alla vita sociale del popolo e totalmente inserita nelle preoccupazioni quotidiane anche di chi non crede. Notoriamente, quella di Papa Francesco è una figura popolare, che riesce ad entrare in empatia con chiunque, per via dei suoi modi schietti e diretti.
È un papa umile, poco “cattedratico”, a cui non piacciono le appariscenze. Per cui anche il suo messaggio risulta veicolato con uno stile prossimo, semplice, di compartecipazione al prossimo. E lo si è capito fin dal primo giorno, dal momento in cui ha spiazzato tutti scegliendo il nome di uno dei santi più amati e popolari per il nostro paese, San Francesco, il Poverello di Assisi.
La ricerca di spiritualità perciò viene sorretta dall’umiltà e dalla capacità del Papa di “bucare lo schermo”, per usare un linguaggio secolarizzato e affine al mezzo televisivo. Ma oggi su internet basta un clic per collegarli con la propria parrocchia o anche con qualunque altra parrocchia in tutta Italia. Si può così scegliere la comunità o il gruppo con il quale siamo più in sintonia o ci identifichiamo meglio.
Se è vero che il rischio è quello di una chiesa viralizzata, è anche vero che nell’offerta del web e del suo mare magnum, il fatto che finalmente si sia inserita anche la Chiesa e il mondo della fede non può che essere una nota positiva, un segno di saper stare al passo con i tempi. E della capacità di offrire al maggior numero di persone spunti, riflessioni, meditazioni, sussidi alla preghiera, accompagnamento. Così prende forma una comunità, o una community, se si vuole restare nell’ambito del linguaggio social.
L’obiettivo da non perdere d’occhio è che questa stessa comunità riporti a una vita reale, concreta, e soprattutto a un incontro fisico, nella propria parrocchia nel momento in cui la pandemia sarà terminata. L’Eucarestia e la vita comunitaria non potrà mai essere sostituita da uno schermo, ovvero un suo sostituto. Che certamente, invece, potrà accompagnarla al meglio.
“In questo periodo prevalgono più i segni di fede che di indifferenza religiosa, più la vicinanza che la distanza da Dio”, spiega il sociologo ad Avvenire. “Sono pochi quelli che prendono spunto dalla pandemia per distaccarsi ancora di più, tuttavia la crescita del bisogno, della domanda religiosa e spirituale resta circoscritta, coinvolge molto di più i credenti praticanti o i cattolici impegnati rispetto alla totalità dei credenti cattolici”.
Ma di fronte all’emergenza le reazioni non sono necessariamente tutte uguali. “C’è chi avverte maggiormente il tasso di spiritualità, riflette, prega, si interroga, e chi reagisce in modo laico pur dichiarandosi credente”, senza cioè interpretare ciò che vede in “una prospettiva di fede”.
Mondi diversi con cui “prefigurare un tipo di rapporto o di presenza o di attenzione pastorale diversa”. Perciò la domanda sussiste, ma è l’approccio che cambia, per via anche del diverso retroterra culturale instaurato negli ultimi anni. A cui la Chiesa deve parlare, anche se pare che la “domanda non abbia più retroterra“, come spiega il sociologo.
“Esiste una domanda di senso verso la quale occorre ricalibrare il rapporto. E una comunità mediamente vecchia nel suo personale religioso e anche per certi aspetti un po’ burocratizzata può avere difficoltà a relazionarsi con un’istanza che cresce soprattutto a livello giovanile”.
Ma la Chiesa sa che solo lasciando agire lo Spirito, questa istanze di vita che nascono dall’amore incondizionato di Gesù verso i suoi figli prenderanno forma. Una forma che è destinata ad incarnarsi nella vita dell’uomo e della comunità cristiana, come ha fatto Gesù.
Basta quindi guardare a Lui, e non alle nostre sterili volontà di protagonismo, nella pretesa di fare nostro il mondo. Perché Lui saprà come portare a compimento ciò che è giusto. Per questo bisogna pregare con sempre maggiore intensità e mai smettere di avere fede.
Giovanni Bernardi
Fonte: avvenire.it
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