Mai più tragedie di bambini che “muoiono di freddo o tra le fiamme”, ma anche mai più “falsità, truffe, imbrogli, liti”: è arrivato il tempo di costruire società e periferie “più umane”. Queste in sintesi le parole del Papa ai partecipanti al pellegrinaggio mondiale del popolo gitano. L’evento è stato promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, guidato dal cardinale Antonio Maria Vegliò, in collaborazione con la Fondazione “Migrantes” della Cei, la diocesi di Roma e la Comunità di Sant’Egidio. Il servizio di Giada Aquilino:
Per il popolo gitano inizi “una nuova storia”: “che si volti pagina”. È l’esortazione di Papa Francesco ai circa 7 mila presenti in Aula Paolo VI con i loro ritmi, le loro danze, i loro canti, in poche parole: il loro calore. Una realtà, quella dei gitani, che il Pontefice racconta di conoscere bene: parla di “difficoltà”, toccate con mano anche nelle parrocchie visitate alla periferia di Roma, di “problemi” e “inquietudini” che – sottolinea – “interpellano non soltanto la Chiesa, ma anche le autorità locali”. Denuncia “condizioni precarie”, “trascuratezza” e “mancanza di lavoro”:
“Non vogliamo più assistere a tragedie familiari in cui i bambini muoiono di freddo o tra le fiamme, o diventano oggetti in mano a persone depravate, i giovani e le donne sono coinvolti nel traffico della droga o di esseri umani. E questo perché spesso cadiamo nell’indifferenza e nell’incapacità di accettare costumi e modi di vita diversi da noi”.
Si tratta di situazioni che contrastano “col diritto di ogni persona” ad una vita e a un lavoro dignitosi, all’istruzione e all’assistenza sanitaria, perché – rammenta – “ogni essere umano possa godere dei diritti fondamentali” e, al contempo, debba “rispondere ai propri doveri”:
“Cari amici, non date ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica occasioni per parlare male di voi. Voi stessi siete i protagonisti del vostro presente e del vostro futuro. Come tutti i cittadini, potete contribuire al benessere e al progresso della società rispettandone le leggi, adempiendo ai vostri doveri e integrandovi anche attraverso l’emancipazione delle nuove generazioni”.
È sui giovani che il Papa invita a puntare. “Sono il futuro del vostro popolo” e “della società in cui vivono”, sottolinea:
“I bambini sono il vostro tesoro più prezioso. La vostra cultura oggi è in fase di mutazione, lo sviluppo tecnologico rende i vostri ragazzi sempre più consapevoli delle proprie potenzialità e della loro dignità, e loro stessi sentono la necessità di lavorare per la promozione umana personale e del vostro popolo. Questo esige che sia loro assicurata un’adeguata scolarizzazione. E questo dovete anche chiederlo: è un diritto”.
L’istruzione, evidenzia, è “sicuramente” la base per un sano sviluppo della persona ed “è noto – osserva – che lo scarso livello di scolarizzazione” di molti giovani gitani rappresenta oggi “il principale ostacolo” per l’accesso al mondo del lavoro.
“I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola, non impediteglielo! I vostri figli hanno il diritto di andare a scuola! È importante che la spinta verso una maggiore istruzione parta dalla famiglia, parta dai genitori, parta dai nonni; è compito degli adulti assicurarsi che i ragazzi frequentino la scuola. L’accesso all’istruzione permette ai vostri giovani di diventare cittadini attivi, di partecipare alla vita politica, sociale ed economica nei rispettivi Paesi”.
Il Papa assicura che “è possibile costruire una convivenza pacifica”, in cui diverse culture e tradizioni custodiscono i rispettivi valori “in atteggiamento non di chiusura e contrapposizione, ma di dialogo e integrazione”. Un compito particolare è affidato alle istituzioni civili, a cui è chiesto – sottolinea il Papa – “l’impegno di garantire adeguati percorsi formativi per i giovani gitani, dando la possibilità anche alle famiglie che vivono in condizioni più disagiate di beneficiare di un adeguato inserimento scolastico e lavorativo”:
“Il processo di integrazione pone alla società la sfida di conoscere la cultura, la storia e i valori delle popolazioni gitane. La vostra cultura e i vostri valori: che siano conosciuti da tutti!”.
D’altra parte, aggiunge, è arrivato il tempo “di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze” che spesso sono alla base “della discriminazione, del razzismo e della xenofobia”: nessuno deve sentirsi “isolato” né “autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri”. Lo spirito della misericordia, afferma Francesco, ci chiama “a batterci perché siano garantiti” tali valori. Il suo auspicio è che il Vangelo della misericordia “scuota” le coscienze di tutti, aprendo “i nostri cuori e le nostre mani ai più bisognosi e ai più emarginati”, partendo da chi ci sta “più vicino”.
“Esorto voi per primi, nelle città di oggi in cui si respira tanto individualismo, ad impegnarvi a costruire periferie più umane, legami di fraternità e condivisione; avete questa responsabilità, è anche compito vostro. E potete farlo se siete anzitutto buoni cristiani, evitando tutto ciò che non è degno di questo nome: falsità, truffe, imbrogli, liti”.
Ripropone “come modello di vita e di religiosità” il beato Zeffirino Giménez Malla, figlio del popolo gitano, che – ricorda – “si distinse per le sue virtù, per umiltà e onestà” e per la “grande devozione” alla Madonna. Francesco abbraccia poi una giovane, Maria, che chiede al Papa di battezzare sé e i tre figli. Quindi constata il numero “sempre in aumento di vocazioni sacerdotali, diaconali e di vita consacrata”, segno forte di “fede e crescita spirituale” delle etnie gitane. Ne è un esempio, dice il Pontefice, il vescovo Devprasad Ganava, presente in Aula Paolo VI perché “figlio” di quella gente. Proprio ai consacrati, i gitani “guardano con fiducia e con speranza”, per il ruolo che essi ricoprono e per ciò che possono fare “nel processo di riconciliazione all’interno della società e della Chiesa”:
“Voi siete un tramite tra due culture e, per questo, vi si chiede di essere sempre testimoni di trasparenza evangelica per favorire la nascita, la crescita e la cura di nuove vocazioni. Sappiate essere accompagnatori non solo nel cammino spirituale, ma anche nell’ordinarietà della vita quotidiana con tutte le sue fatiche, gioie e preoccupazioni”.
Una missione, mette in luce il Pontefice, ben compresa dal beato Paolo VI, che cinquant’anni fa volle incontrare il popolo nomade nell’accampamento di Pomezia. Sottolineando la stima, l’apprezzamento e l’impegno di assistenza nei loro confronti, Papa Montini – ricorda Francesco, citando l’incoraggiamento venuto negli anni pure da san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI – “spronò la Chiesa all’impegno pastorale” con il popolo gitano, incoraggiando al contempo quella stessa gente “ad avere fiducia in essa”. E da quel giorno, conclude il Papa che all’udienza ha voluto incoronare di nuovo la Madonna degli Zingari come fece nel 1965 Paolo VI, “siamo stati testimoni di grandi cambiamenti” nell’evangelizzazione e nella promozione umana, sociale e culturale” delle comunità gitane.
fonte: radiovaticana