Non si tira indietro e non cerca il facile applauso, ma sfida apertamente le convinzioni progressiste del mondo, riuscendo a penetrare anche in quegli ambienti che ideologicamente chiudevano la porta al suo predecessore. Papa Francesco è tornato su un grande tema, molto divisivo: «La compassione è in un certo senso l’anima stessa della medicina. La compassione non è pena, e soffrire-con. Nella nostra cultura tecnologica e individualista, la compassione non è sempre ben vista».
Addirittura, ha aggiunto incontrando i medici spagnoli, «non manca neppure chi si nasconde dietro a una supposta compassione per giustificare e approvare la morte di un malato. Ma non è così. La vera compassionenon emargina nessuno, non umilia la persona, non la esclude, e tanto meno considera la sua scomparsa come qualcosa di buono». Un giudizio efficace, che colpisce proprio il cuore del tema dell’eutanasia e del suicidio assistito, che probabilmente sarà all’ordine del giorno tra qualche anno in tutto l’Occidente. E i media spagnoli non si sono fatti attendere,riprendendo la sua accusa alla “dolce morte”.
Lo stesso ragionamento lo propose ai medici italiani, quando disse: «Il pensiero dominante propone a volte una “falsa compassione“: quella che ritiene sia un aiuto alla donna favorire l’aborto, un atto di dignità procurare l’eutanasia, una conquista scientifica “produrre” un figlio considerato come un diritto invece di accoglierlo come dono; o usare vite umane come cavie di laboratorio per salvarne presumibilmente altre. La compassione evangelica invece è quella che accompagna nel momento del bisogno, cioè quella del Buon Samaritano, che “vede”, “ha compassione”, si avvicina e offre aiuto concreto (cfr Lc 10,33)».
Ha parlato anche della cultura dello scarto, un suo neologismo attraverso cui indica quella società che «rifiuta e disprezza le persone che non soddisfano determinati canoni di salute, di bellezza e di utilità». Scartare è abbandonare o provocare la morte di un anziano o di un malato terminale, è impedire la nascita di un bambino, magari disabile. E un grande segno, in questo senso, è la scelta di farsi aiutare da alcuni chierichetti affetti da sindrome di Down durante la Messa del Giubileo degli Ammalati e delle Persone Disabili che si terrà domani.
Più volte, nel suo discorso, Francesco ha spiegato di voler «benedire le mani dei medici come segno di riconoscenza a questa compassione che si fa carezza di salute». Perché tale soffrire-con, «è la risposta adeguata al valore immenso della persona malata, una risposta fatta di rispetto, comprensione e tenerezza, perché il valore sacro della vita del malato non scompare né si oscura mai, bensì risplende con più forza proprio nella sua sofferenza e nella sua vulnerabilità. Non si può cedere alla tentazione funzionalista di applicare soluzioni rapide e drastiche, mossi da una falsa compassione o da meri criteri di efficienza e di risparmio economico. A essere in gioco è la dignità della vita umana; a essere in gioco è la dignità della vocazione medica». Una chiamata all’obiezione di coscienza dei medici, come infatti ha auspicato nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia: «a coloro che operano nelle strutture sanitarie si rammenta l’obbligo morale dell’obiezione di coscienza».