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Papa Francesco: Misericordia ci fa uscire dai nostri recinti

Chiediamo a Dio misericordioso di aiutarci ad uscire dai nostri recinti, dalle nostre teologie complicate per portare a tutti il suo amore. Così Papa Francesco nella Messa Crismale, celebrata nella Basilica di San Pietro. Il Pontefice ha messo l’accento sull’incontro e il perdono, come ambiti privilegiati in cui il Signore manifesta la sua misericordia. Quindi, ha messo in guardia da una spiritualità light e da una “mondanità virtuale” che ci impediscono di ascoltare la voce di Dio. Durante la celebrazione – nella quale i sacerdoti della diocesi di Roma hanno rinnovato le loro promesse – sono stati benedetti gli Oli dei Catecumeni e degli Infermi e il Crisma. Il servizio diAlessandro Gisotti:

“Gesù non combatte per consolidare uno spazio di potere. Se rompe recinti e mette in discussione sicurezze è per aprire una breccia al torrente della Misericordia”. E’ la bella immagine che Francesco ha utilizzato all’inizio della sua omelia nella Messa crismale, concelebrata in San Pietro da 120 tra cardinali e vescovi e 1800 sacerdoti.

La dinamica della Misericordia lega un piccolo gesto ad un altro
Nell’Anno Giubilare, il Papa ha sottolineato che la Misericordia di Dio porta sempre “qualcosa di nuovo”, è sempre “in cammino” e “cerca il modo di fare un passo avanti, un piccolo passo in là, avanzando sulla terra di nessuno, dove regnavano l’indifferenza e la violenza”. Questa, ha soggiunto, è stata la dinamica del Buon Samaritano:

“Questa è la dinamica della Misericordia, che lega un piccolo gesto con un altro, e senza offendere nessuna fragilità, si estende un po’ di più nell’aiuto e nell’amore. Ciascuno di noi, guardando la propria vita con lo sguardo buono di Dio, può fare un esercizio con la memoria e scoprire come il Signore ha usato misericordia con noi, come è stato molto più misericordioso di quanto credevamo, e così incoraggiarci a chiedergli che faccia un piccolo passo in più, che si mostri molto più misericordioso in futuro”.

Francesco incoraggia, dunque, a chiedere al Signore di aiutarci a “rompere quegli schemi ristretti nei quali tante volte incaselliamo la sovrabbondanza del suo cuore”. Ancora, ha esortato ad “uscire dai nostri recinti, perché è proprio del Cuore di Dio traboccare di misericordia” e il Signore “preferisce che si perda qualcosa piuttosto che manchi una goccia”. Nel giorno in cui i sacerdoti rinnovano le loro promesse, il vescovo di Roma li invita ad essere “testimoni e ministri della Misericordia” e mette l’accento su due ambiti in cui il Signore eccede nella sua Misericordia: l’incontro e il perdono, “che ci fa vergognare e ci dà dignità”.

Festeggiamo quando riceviamo la Misericordia di Dio?
Parlando dell’incontro, il Papa si accosta alla parabola del Padre Misericordioso per rilevare come sempre ci meravigli la “sovrabbondanza” della gioia del Padre per il ritorno del figlio prodigo. E’ la stessa gioia del lebbroso risanato da Gesù, aggiunge. Due esempi che ci fanno capire che il “ringraziamento” gioioso è la “risposta giusta”  al dono della Misericordia:

“A tutti noi può farci bene domandarci: dopo essermi confessato, festeggio? O passo rapidamente ad un’altra cosa, come quando dopo essere andati dal medico, vediamo che le analisi non sono andate tanto male e le rimettiamo nella busta e passiamo a un’altra cosa. E quando faccio l’elemosina, do tempo a chi la riceve di esprimere il suo ringraziamento, festeggio il suo sorriso e quelle benedizioni che ci danno i poveri o proseguo in fretta con le mie cose dopo aver lasciato cadere la moneta?”.

Mantenere una sana tensione tra vergogna e dignità
Il Papa rivolge dunque l’attenzione al perdono, ambito dove davvero vediamo che “Dio eccede in una Misericordia sempre più grande” e “ci fa passare direttamente dalla vergogna più vergognosa alla dignità più alta senza passaggi intermedi”. Noi, invece, si rammarica, davanti al perdono di Dio “tendiamo a seperare i due atteggiamenti” come fecero Adamo ed Eva:

“La nostra risposta al perdono sovrabbondante del Signore dovrebbe consistere nel mantenerci sempre in quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi: atteggiamento di chi per sé stesso cerca di umiliarsi e abbassarsi, ma è capace di accettare che il Signore lo innalzi per il bene della missione, senza compiacersene. Il modello che il Vangelo consacra, e che può servirci quando ci confessiamo, è quello di Pietro, che si lascia interrogare a lungo sul suo amore e, nello stesso tempo, rinnova la sua accettazione del ministero di pascere le pecore che il Signore gli affida”.

No alle teologie complicate che ci rendono ciechi
Francesco fa riferimento al popolo povero e prigioniero, il “popolo scartato” con il quale i sacerdoti sono chiamati ad identificarsi. “Ricordiamo – ha detto – che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono”. Ma, ha ammonito, “ricordiamo anche che ognuno di noi sa in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate”:

“Sentiamo che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva – che beviamo solo a sorsi –, ma per un eccesso di spiritualità ‘frizzanti’, di spiritualità light. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un sempliceclick. Siamo oppressi, ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori”.

E’ Gesù, ha concluso, che “viene a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione”.

fonte:radiovaticana

Emanuele

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