“Spero che questo Congresso possa dare nuovo impulso all’impegno per l’abolizione della pena capitale”. È l’auspicio col quale Papa Francesco chiude il videomessaggio inviato al Congresso mondiale contro la pena di morte apertosi, oggi nella capitale norvegese di Oslo. La sintesi del pensiero del Papa nel servizio di Alessandro De Carolis:
La pena di morte? Qualsiasi sia il reato, “è inammissibile”. Papa Francesco è netto nello stigmatizzare il ricorso a una pratica per arginare la quale, riscontra con soddisfazione, si registra una “crescente opposizione”, “anche come strumento legittimo di difesa sociale”.
Non giustizia ma vendetta
Francesco si congratula con organizzatori e partecipanti di ogni ordine e grado presenti a Oslo per il Congresso mondiale contro la pena di morte. Il Papa è diretto: uccidere un reo non ha niente a che vedere con la giustizia perché in sostanza, dice, stimola a considerare un condannato con implacabile disumanità e quasi mai come qualcuno che possa riscattarsi:
“Oggi, infatti, la pena di morte è inammissibile, per quanto sia grave il reato commesso dal condannato. È un affronto all’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo, la società e la sua giustizia misericordiosa (…). Essa non rende giustizia alle vittime, ma incoraggia la vendetta. Il comandamento ‘Non uccidere’ ha un valore assoluto e riguarda sia l’innocente e il colpevole”.
Giustizia vuol dire riabilitare
Nell’Anno in cui la Chiesa parla la lingua della misericordia, il Papa riconosce “una buona occasione per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto per la vita e la dignità di ogni persona”, giacché – ripete – “il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche a chi ha commesso un crimine”:
“Vorrei incoraggiare tutti a lavorare non solo per l’abolizione della pena di morte, ma anche per il miglioramento delle condizioni della detenzione, a rispettare pienamente la dignità umana delle persone private della libertà. ‘Fare giustizia’ non significa una pena fine a se stessa, ma che le pene hanno come scopo principale la riabilitazione del reo”.
Pena senza speranza è tortura
La questione, conclude Francesco, deve essere “inquadrata nell’ottica di una giustizia penale aperta alla speranza di reinserimento del reo nella società”:
“Non c’è nessuna pena valida senza la speranza! Una pena chiusa in se stessa, che non porta alla speranza, è una tortura, non una pena”.
fonte: radiovaticana
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