Sentiamo l’opinione di un non credente che ci parla di questi due anni di Pontificato le parole e i gesti di Papa Francesco hanno destato interesse. Lo conferma la testimonianza di Luigi Alfieri, docente ordinario all’Università di Urbino, coordinatore della Scuola di scienze politiche e sociali dell’ateneo. Fabio Colagrande gli ha chiesto quale aspetto del magistero di Francesco l’abbia colpito di più:
R. – Sicuramente l’aspetto sociale, che d’altra parte credo sia volutamente quello che dallo stesso Papa viene messo in primo piano. Papa Francesco sta prendendo sul serio e facendo prendere sul serio l’idea di una Chiesa dei poveri, che non è qualcosa di astratto, perlomeno non lo è nel suo caso. Direi che si configura, anzi, come una vera e propria precisa scelta politica che, come tutte le scelte politiche vere, è anche una scelta di parte, non in senso banale e tanto meno in senso ideologico o partitico; ma certamente implica opzioni fondamentali riguardo ai valori, riguardo a chi tutela questi valori e a chi, invece, non li tutela; implica certamente un giudizio molto preciso sull’attuale sistema economico mondiale e su questo il Papa mi sembra sia stato sempre del tutto esplicito. E quindi, direi che in questo momento la Chiesa di Papa Francesco si presenta come una Chiesa complessivamente dissenziente rispetto a un ordine mondiale che certamente non può più definirsi – ammesso che mai abbia potuto definirsi – un ordine cristiano.
D. – Da non credente, come considera l’immagine ricorrente di una “Chiesa in uscita”, così cara a Papa Francesco?
R. – Direi che è un’immagine che è insita anche nel nome che si è voluto dare. Certamente nessuno ha mai pensato che la scelta di chiamarsi Francesco – tra l’altro, da parte di un non-francescano – sia un dettaglio privo di importanza. Evidentemente, è una precisa indicazione di linea politica, anche una precisa scelta di immagine: appunto, una Chiesa che parla fraternamente agli ultimi e che quindi sceglie di stare dalla parte degli ultimi e non può farlo efficacemente senza ricorrere – appunto – al nome e all’immagine e alla dimensione simbolica che sta dietro a Francesco. Tra l’altro, con la piena consapevolezza di quello che è il problema della povertà è stato nei secoli, nei millenni, direi, nella Storia della Chiesa. E’ stato uno dei problemi cruciali e anche una delle maggiori fonti di lacerazioni, nella Chiesa. Certamente, il Papa attuale pensa che Francesco possa avere nel mondo di oggi un’attualità e quindi un ruolo simbolico paragonabile a quello che è stato svolto nel mondo medievale.
D. – Ecco: infine, come studioso, anche, dei fenomeni politici, come si spiega le capacità comunicative di Francesco?
R. – Certamente, se il mezzo è il messaggio, vale anche l’idea opposta: che il messaggio sia il mezzo. E appunto, un messaggio della semplicità, un messaggio del rifiuto degli orpelli, un messaggio – in un certo senso – di “desacralizzazione” della Chiesa, una Chiesa fraterna, una Chiesa che soccorre, non una Chiesa che “giudica” e “regna”, evidentemente se questo è il messaggio dev’essere espresso in maniera adeguata. Quindi è conseguente la sua scelta di un linguaggio semplice, spoglio, in realtà molto più raffinato di quello che non sembri. Papa Bergoglio è un grande intellettuale, non è certamente un semplice parroco di campagna, anche se a volte sceglie precisamente “quel” linguaggio o “quel” modo di porsi; ma lo fa in maniera raffinata, con la piena consapevolezza di che cosa vuole dire: per dire “quello”, deve dirlo “in quel modo”. Non mi fraintenda: non do certamente alla cosa un senso negativo; ma Papa Bergoglio è un finissimo politico, sicuramente uno dei più fini politici che la Chiesa abbia avuto negli ultimi decenni …
(Da Radio Vaticana)