Papa Francesco: rigidità e mondanità, un disastro per i sacerdoti

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I sacerdoti siano mediatori dell’amore di Dio, non intermediari che pensano al proprio interesse. E’ il monito di Papa Francesco nell’omelia alla Messa mattutina a Casa Santa Marta, tutta incentrata sulle tentazioni che possono mettere a rischio il servizio dei sacerdoti. Il Papa ha messo in guardia dai “rigidi” che caricano sui fedeli cose che loro non portano. Ancora, ha denunciato la tentazione della mondanità che trasforma il sacerdote in un funzionario e lo porta ad essere “ridicolo”. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Sono come bambini ai quali offri una cosa e non gli piace, gli offri il contrario e non va bene lo stesso. Papa Francesco ha preso spunto dalle parole di Gesù che, nel Vangelo odierno, sottolinea l’insoddisfazione del popolo, mai contento. Anche oggi, ha subito osservato il Pontefice, “ci sono cristiani insoddisfatti – tanti – che non riescono a capire cosa il Signore ci ha insegnato, non riescono a capire il nocciolo proprio della rivelazione del Vangelo”. Quindi, si è soffermato sui preti “insoddisfatti” che, ha avvertito, “fanno tanto male”. Vivono insoddisfatti cercano sempre nuovi progetti, “perché il loro cuore è lontano dalla logica di Gesù” e per questo “si lamentano o vivono tristi”.

No ai sacerdoti intermediari, sì a sacerdoti mediatori dell’amore di Dio
La logica di Gesù, ha ripreso, dovrebbe dare invece “piena soddisfazione” a un sacerdote. “E’ la logica del mediatore”. “Gesù – ha sottolineato – è il mediatore fra Dio e noi. E noi dobbiamo prendere questa strada di mediatori”, “non l’altra figura che assomiglia tanto ma non è la stessa: intermediari”. L’intermediario, infatti, “fa il suo lavoro e prende la paga”, “lui mai perde”. Totalmente diverso è il mediatore:

“Il mediatore perde se stesso per unire le parti, dà la vita, se stesso, il prezzo è quello: la propria vita, paga con la propria vita, la propria stanchezza, il proprio lavoro, tante cose, ma – in questo caso il parroco – per unire il gregge, per unire la gente, per portarla a Gesù. La logica di Gesù come mediatore è la logica di annientare se stesso. San Paolo nella Lettera ai Filippesi è chiaro su questo: ‘Annientò se stesso, svuotò se stesso’ ma per fare questa unione, fino alla morte, morte di croce. Quella è la logica: svuotarsi, annientarsi”.

Il sacerdote autentico, ha soggiunto, “è un mediatore molto vicino al suo popolo”, l’intermediario invece fa il suo lavoro ma poi ne prende un altro “sempre come funzionario”, “non sa cosa significhi sporcarsi le mani” in mezzo alla realtà. Ed è per questo, ha ribadito, che quando “il sacerdote cambia da mediatore a intermediario non è felice, è triste”. E cerca un po’ di felicità “nel farsi vedere, nel far sentire l’autorità”.

La rigidità porta ad allontanare le persone che cercano consolazione
Agli intermediari del suo tempo, ha aggiunto, “Gesù diceva che piaceva loro passeggiare per le piazze” per farsi vedere e onorare:

“Ma anche per rendersi importanti, i sacerdoti intermediari prendono il cammino della rigidità: tante volte, staccati dalla gente, non sanno che cos’è il dolore umano; perdono quello che avevano imparato a casa loro, col lavoro del papà, della mamma, del nonno, della nonna, dei fratelli… Perdono queste cose. Sono rigidi, quei rigidi che caricano sui fedeli tante cose che loro non portano, come diceva Gesù agli intermediari del suo tempo. La rigidità. Frusta in mano col popolo di Dio: ‘Questo non si può, questo non si può…’. E tanta gente che si avvicina cercando un po’ di consolazione, un po’ di comprensione viene cacciata via con questa rigidità”.

Quando il sacerdote rigido e mondano diventa funzionario finisce nel ridicolo
Tuttavia, ha ammonito, la rigidità “non si può mantenere tanto tempo, totalmente. E fondamentalmente è schizoide: finirai per apparire rigido ma dentro sarai un disastro”. E con la rigidità, la mondanità. “Un sacerdote mondano, rigido – ha detto Francesco – è uno insoddisfatto perché ha preso la strada sbagliata”:

“Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il ‘saturno’, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: ‘E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!’. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre”.

Un buon sacerdote si riconosce se sa giocare con un bambino
“Nell’esame di coscienza – ha detto poi il Papa – considerate questo: oggi sono stato funzionario o mediatore? Ho custodito me stesso, ho cercato me stesso, la mia comodità, il mio ordine o ho lasciato che la giornata andasse al servizio degli altri?”. Una volta, ha raccontato, una persona mi “diceva che lui riconosceva i sacerdoti dall’atteggiamento con i bambini: se sanno carezzare un bambino, sorridere a un bambino, giocare con un bambino… E’ interessante questo perché significa che sanno abbassarsi, avvicinarsi alle piccole cose”. Invece, ha affermato, “l’intermediario è triste, sempre con quella faccia triste o troppo seria, faccia scura. L’intermediario ha lo sguardo scuro, molto scuro! Il mediatore – ha ripreso – è aperto: il sorriso, l’accoglienza, la comprensione, le carezze”.

Policarpo, San Francesco Saverio, San Paolo: tre icone di sacerdoti mediatori
Nella parte finale dell’omelia il Papa ha quindi proposto, tre “icone” di “sacerdoti mediatori e non intermediari”. Il primo è il “grande” Policarpo che “non negozia la sua vocazione e va coraggioso alla pira e quando il fuoco viene intorno a lui, i fedeli che erano lì, hanno sentito l’odore del pane”. “Così – ha detto – finisce un mediatore: come un pezzo di pane per i suoi fedeli”. L’altra icona è San Francesco Saverio, che muore giovane sulla spiaggia di San-cian, “guardando la Cina” dove voleva andare ma non potrà perché il Signore lo prende a Sé. E poi, l’ultima icona: l’anziano San Paolo alle Tre Fontane. “Quella mattina presto – ha rammentato – i soldati sono andati da lui, l’hanno preso, e lui camminava incurvato”. Sapeva benissimo che questo accadeva per il tradimento di alcuni all’interno della comunità cristiana ma lui ha lottato tanto, tanto, nella sua vita, che si offre al Signore come un sacrificio”. “Tre icone – ha concluso – che possono aiutarci. Guardiamo lì: come voglio finire la mia vita di sacerdote? Come funzionario, come intermediario o come mediatore, cioè in croce?”.

fonte: radiovaticana

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