Vivere nell’attesa che “per sempre saremo con il Signore”: questa è la speranza cristiana, non il desiderio di qualcosa di bello che potrebbe anche non realizzarsi. Lo sottolinea il Papa nella catechesi all’udienza generale, tenuta ieri in Aula Paolo VI. Tutti temiamo la morte, spiega Francesco, ma la risurrezione è una realtà certa, in quanto radicata in quella di Gesù. Il Pontefice prosegue dunque il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana, alla luce del Nuovo Testamento. Il servizio di Debora Donnini:
La speranza cristiana non è come sperare che domani faccia bel tempo, cioè secondo l’accezione comune desiderare qualcosa che può realizzarsi oppure no. La speranza cristiana nella risurrezione è invece l’attesa di qualcosa che “è stato già compiuto”, in quanto radicata nella risurrezione di Cristo. E’ come camminare verso una porta: la porta c’è e sono sicuro che vi arriverò:
“La speranza cristiana è l’attesa di una cosa che è già stata compiuta e che certamente si realizzerà per ciascuno di noi. Anche la nostra risurrezione e quella dei cari defunti, quindi, non è una cosa che potrà avvenire oppure no, ma è una realtà certa, in quanto radicata nell’evento della risurrezione di Cristo. Sperare quindi significa imparare a vivere nell’attesa”.
Dopo aver letto, nelle scorse catechesi, la speranza cristiana alla luce del Vecchio Testamento, Papa Francesco si sofferma sulla portata straordinaria che questa virtù assume nel Nuovo, quando incontra “la novità rappresentata da Gesù Cristo e dall’evento pasquale”. Centrale in questo senso la Lettura proclamata, tratta dalla Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi.
Davanti alla morte emergono dubbi e fragilità
L’Apostolo cerca di far comprendere tutti gli effetti che la risurrezione del Signore, comporta per la vita di ciascuno. Tessalonica è infatti una comunità fondata da poco. Solo pochi anni la separavano dalla Pasqua di Cristo e, dunque, tutti credevano nella risurrezione di Gesù ma avevano un po’ di difficoltà a credere nella risurrezione dei morti. “In tal senso – rileva Francesco – questa lettera si rivela quanto mai attuale” perché “tutti abbiamo un po’ di paura”:
“Ogni volta che ci troviamo di fronte alla nostra morte o a quella di una persona cara sentiamo che la nostra fede viene messa alla prova. Emergono tutti i nostri dubbi, tutta la nostra fragilità, e ci chiediamo: ‘Ma davvero ci sarà la vita dopo la morte…? Potrò ancora vedere e riabbracciare le persone che ho amato…?’. Questa domanda me l’ha fatta una signora pochi giorni fa in un’udienza, manifestando un dubbio: ‘Incontrerò i miei?’”.
Quindi, prosegue il Papa, “anche noi, nel contesto attuale, abbiamo bisogno di ritornare alla radice e alle fondamenta della nostra fede, così da prendere coscienza di quanto Dio ha operato per noi in Cristo Gesù e cosa significa la nostra morte”. Di fronte ai timori della comunità, San Paolo invita infatti a tenere salda sul capo “come un elmo”, la speranza della salvezza.
Vivere con cuore povero nell’attesa che per sempre saremo con il Signore
Si tratta di imparare a vivere nell’attesa, come una donna incinta che vive nell’attesa di vedere lo sguardo del suo bimbo, ma per vivere così è necessario “un cuore povero”, spiega il Papa:
“Così anche noi dobbiamo vivere e imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore, di incontrare il Signore. Questo non è facile, ma si impara: vivere nell’attesa. Sperare significa e implica un cuore umile, un cuore povero. Solo un povero sa attendere. Chi è già pieno di sé e dei suoi averi, non sa riporre la propria fiducia in nessun altro se non in sé stesso”.
Tutto passa ma, dopo la morte, “per sempre saremo con il Signore”, prosegue il Papa che, come spesso fa, chiede ai presenti di ripetere una frase che desidera rimanga incisa nel cuore:
“E così per sempre saremo con il Signore. Voi credete questo? Vi domando: credete questo? Per avere un po’ di forza vi invito a dirlo tre volte con me: ‘E così per sempre saremo con il Signore’. E là, con il Signore, ci incontreremo”.
I cristiani, infatti, sono “donne e uomini di speranza”.
fonte: radiovaticana
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