Superare l’indifferenza, accettare l’altro. E’ quanto chiede Papa Francesco nel videomessaggio per l’intenzione di preghiera del mese di novembre. Il Pontefice torna a esortare un “impegno di solidarietà” a sostegno di quei Paesi che “accolgono un grande numero di profughi e rifugiati”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Può un paese far fronte da solo alle difficoltà che produce la migrazione forzata?”. E’ la domanda che Papa Francesco rivolge a tutti noi nel videomessaggio per l’intenzione di preghiera del mese di novembre. Il Papa torna a parlare del tema a lui caro della cura dei migranti ed esorta a superare “la indifferenza e la paura di accettare l’altro”. Mentre scorrono le immagini con i volti di persone di diversa etnia il Papa ribadisce che “l’altro” potrebbe essere ognuno di noi. Di qui, l’esortazione ad unirsi alla sua preghiera: “Perché i Paesi che accolgono un grande numero di profughi e rifugiati siano sostenuti nel loro impegno di solidarietà”.
E mentre il Papa torna a chiedere accoglienza e solidarietà per gli immigrati, proprio in queste ultime ore una nuova strage di migranti nel Mar Mediterraneo. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati ieri sono morti 239 migranti, dopo il naufragio di alcuni barconi a largo delle coste Nordafricane. L’Europa come deve dunque reagire di fronte a questa ennesima tragedia del mare? Alessandro Guarasci lo ha chiesto al direttore della Fondazione Migrantes della Cei, mons. Giancarlo Perego:
R. – Di fronte a queste nuove morti nel Mediterraneo – che fanno salire a oltre 4 mila i morti nel 2016, un numero mai raggiunto negli ultimi anni – cresce e si aggrava effettivamente la responsabilità dell’Europa nel disattendere ancora l’impegno di costruire vie legali di ingresso, corridoi umanitari, tra le persone che sono in fuga. Oltre anche ad aumentare le morti, questa indifferenza dell’Europa è ancora più grave perché in continuazione si rimanda quel Piano Marshall per l’Africa che non sia semplicemente un trattenere i migranti nei Paesi di origine ma sia veramente un impegno serio nella cooperazione allo sviluppo. Quindi sono morti che richiamano non solo l’impegno per vie legali e i corridoi umanitari ma l’impegno per una cooperazione che ancora manca.
D. – Questa mancanza di impegno, secondo lei, a che cosa è dovuta? Alle divisioni all’Europa, a problemi di bilancio?
R. – Sono dovute soprattutto al fatto che l’Europa è incapace di uscire dalla logica di chiusura verso la quale alcuni Stati stanno andando e non invece aprirsi a una logica di impegno per lo sviluppo nei Paesi di origine delle persone migranti. Quindi, la mancanza del ricollocamento di 160 mila persone è un segno molto chiaro di questa chiusura e i rimandi continui di un impegno per la cooperazione è una situazione che effettivamente dimostra come l’Europa è incapace di leggere anche il futuro delle migrazioni che necessariamente interesseranno ancora una volta l’Europa.
D. – Lei mi sembra pessimista, guardando se non altro la situazione attuale. Se ne può uscire in qualche modo secondo lei?
R. – Se ne può uscire se effettivamente si esce da questa logica di chiusura e si ottimizzano al meglio le risorse che l’Europa ha a disposizione nelle due direzioni. In primo luogo superando la volontarietà dell’accoglienza e quindi questo ricollocamento dei 160 mila in tutti i 28 Paesi europei. In secondo luogo facendo in modo che le risorse non siano semplicemente per l’accoglienza ma vadano per percorsi di integrazione. L’Europa ha bisogno di nuovi lavoratori, l’Europa ha bisogno anche di questa risorsa importante dei migranti. In terzo luogo, l’Europa potrebbe dare un segnale molto forte in un impegno di politica estera che vada effettivamente nella direzione della pace, soprattutto nel Medio Oriente e in alcuni Paesi africani, cosa che invece continuamente viene rimandata, e non si vorrebbe che la logica sia quella del guadagnare di più anche negli armamenti venduti a questi Paesi.
fonte: radiovaticana
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