Il Papa e Giacobbe: quando ci sentiamo “poveracci” il Signore ci benedice

Pregare è sentire Dio come una presenza amica e vicina, ma anche incontrare il Signore “faccia a faccia”.

Santissimo Nome di Gesù

Dialogo che, in certe “notti” della vita, diventa un vero e proprio “combattimento della fede”. In cui però c’è sempre una “vittoria della perseveranza”. Lo ha spiegato Papa Francesco nell’udienza generale del mercoledì, tenuta nella Biblioteca del Palazzo apostolico.

La catechesi del Papa

Il Papa ha proseguito il ciclo di catechesi sulla preghiera, ricordando, al termine, che quest’anno non ci sarà la tradizione celebrazione del Corpus Domini con manifestazioni pubbliche. “L’ostia consacrata racchiude la persona del Cristo: siamo chiamati a cercarla davanti al tabernacolo in chiesa, ma anche in quel tabernacolo che sono gli ultimi, i sofferenti, le persone sole e povere”, ha ricordato il Papa.

La Genesi, “attraverso vicende di uomini e donne di epoche lontane, ci racconta storie in cui noi possiamo rispecchiare la nostra vita”, ha spiegato Francesco. Tra queste esistenze che fanno da specchio alle nostre vita di uomini del terzo millennio, il Papa ha ricordato la storia del Patriarca Giacobbe.

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photo Getty Images

Giacobbe era un uomo scaltro

Giacobbe, ha spiegato il Papa, era un uomo scaltro che aveva innalzato questa sua dote a caratteristica principale. Grazie a cui carpisce dal padre Isacco la benedizione e il dono della primogenitura. Un uomo perciò abile negli affari, capace di accumulare ricchezze e che prende una bella donna per moglie.

Il classico uomo che, con linguaggio moderno, chiameremmo “un uomo che si è fatto da solo”, che “con l’ingegno riesce a conquistare tutto ciò che desidera”, spiega il Papa. Ma in realtà quella di Giacobbe è anche la vicenda di un uomo che è costretto a fuggire lontano da suo fratello e che un giorno sente invece il richiamo di casa sua, “della sua antica patria”.

All’improvviso, la sconfitta

Un richiamo che lo spingerà a intraprendere un lungo viaggio con dietro di sè una carovana di molte persone e animali. Ma, spiega il Papa, cala la sera. E “all’improvviso uno sconosciuto lo afferra e comincia a lottare con lui”.

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Una lotta che dura per tutta la notte e che vede Giacobbe sconfitto. Da quella notte ne esce cambiato, perché da allora, “sarà zoppo per tutta la vita”. Ma il Papa spiega anche che in quella stessa notte, “Giacobbe capisce di aver incontrato Dio faccia a faccia”.

Lottare con Dio, metafora della preghiera

Una storia, quella di Giacobbe ripercorsa dal Pontefice, che parla alle vite dell’uomo che vive nel terzo millennio perché ricorda che “lottare con Dio” è “una metafora della preghiera”. Giacobbe, nel corso della sua esistenza, “perde ogni corazza terrena. Si riconosce fragile e si abbandona alla misericordia del Signore”.

In quel contesto Giacobbe, uomo scaltro e di successo, non è più padrone della sua vita. La sua scaltrezza diventa inutile. Non è più lo stratega capace di vincere ogni situazione, ma una persona alle prese con le difficoltà della propria esistenza.

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Dio riporta Giacobbe alla verità mortale

“Dio lo riporta alla sua verità di mortale che trema e ha paura, perché Giacobbe nella lotta aveva paura. Per una volta Giacobbe non ha altro da presentare a Dio che la sua fragilità e la sua impotenza, anche i suoi peccati”, spiega Francesco.

Sarà in questa fragilità che Giacobbe riceverà la benedizione del Signore. “Con la quale entra zoppicando nella terra promessa: vulnerabile, e vulnerato, ma con il cuore nuovo”. Giacobbe era cioè “uno sicuro di sé, confidava nella propria scaltrezza”. “Un uomo impermeabile alla grazia, refrattario alla misericordia; non conosceva cosa fosse la misericordia”.

Nella fragilità Dio salva ciò che sembra perduto

Che cioè “non riteneva di avere bisogno di misericordia”. Ma in quel contesto tutto cambia. “Dio ha salvato ciò che era perduto. Gli ha fatto capire che era limitato, che era un peccatore che aveva bisogno di misericordia e lo salvò”.

Gesù
Gesù (photo websource)

Una lezione per ogni uomo, dal più debole al più forte. Tutti infatti sono destinati ad incontrare il Signore, “faccia a faccia con le proprie vulnerabilità“. Un momento di cui “non si deve temere”, spiega il Papa.

Quando ci sentiamo poveraccio Dio ci dona un nome nuovo

“Tutti quanti noi abbiamo un appuntamento nella notte con Dio, nella notte della nostra vita, nelle tante notti della nostra vita: momenti oscuri, momenti di peccati, momenti di disorientamento. Lì c’è un appuntamento con Dio, sempre. Egli ci sorprenderà nel momento in cui non ce lo aspettiamo, in cui ci troveremo a rimanere veramente da soli”, dice il Papa.

Una notte in cui, soli e al cospetto del Signore, In quella stessa notte, “prenderemo coscienza di essere solo poveri uomini – mi permetto di dire poveracci – ma, proprio allora, nel momento in cui ci sentiamo poveracci, non dovremo temere: perché in quel momento Dio ci darà un nome nuovo, che contiene il senso di tutta la nostra vita; ci cambierà il cuore e ci darà la benedizione riservata a chi si è lasciato cambiare da Lui.

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Questo è un bell’invito a lasciarci cambiare da Dio. Lui sa come farlo, perché conosce ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci”, può dirlo ognuno di noi. “Signore, Tu mi conosci. Cambiami”.

Giovanni Bernardi

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