NON PARLA DI EUTANASIA E DI CERTO NON L’APPROVA PAPA FRANCESCO, COME SEMPRE LE SUE PAROLE VENGONO STRUMENTALIZZATE
Coloro che spingono l’opinione pubblica a giustificare la proposta di legge sull’eutanasia sono in tanti e si aggrappano a qualunque segnale, che arrivi anche casualmente dai pro life o dai cristiani, nel tentativo di uniformare le coscienze.
Così, anche una delle ultime affermazioni del Papa viene travisata e scambiata per un’apertura verso la buona morte.
L’equivoco, su cui i media stanno “giocando” in queste ore, è il messaggio inviato da Papa Francesco alla Pontifica Accademia per la Vita.
Nel testo, citando il Catechismo della Chiesa Cattolica (quindi nulla di nuovo, ma tutto assodato) il Papa parla dell’accanimento terapeutico: “È moralmente lecito rinunciare all’applicazione di mezzi terapeutici, o sospenderli, quando il loro impiego non corrisponde a quel criterio etico e umanistico della “proporzionalità delle cure”.”.
Il testo era stato inviato a Monsignor Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, il giorno del Convegno Internazionale del World Medical Association, tenutosi in Vaticano.
Pare necessario, ora, ribadire, per coloro che volessero cavalcare l’onda dei disguido e far pensare che il Papa possa essere anche lievemente favorevole all’eutanasia, che l’accadimento terapeutico (da non sollecitare) è cosa ben diversa, rispetto al processo di fine vita (da evitare assolutamente).
Il primo, infatti, è solo una presa di coscienza, un saper accettare la morte che sta sopraggiungendo, il secondo è un’interruzione programmata della vita.
Ricordiamo che, le parole su citate, sono contenute nel Catechismo della Chiesa Cattolica, nel capitolo sull’eutanasia, dove si dice anche: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’ “accanimento terapeutico”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire.”.
Ciò che è essenziale davvero, quando si ha a che fare con un malato terminale, è evitare che si senta abbandonato e solo, che qualcosa mini la sua serenità. Bisogna fare in modo che viva con dignità anche quel difficile momento, utilizzando le cure necessarie, sfruttando al meglio, quando è possibile, i progressi della medicina. Ed è bene che si regali tanto affetto, in quelle circostanze.
Come dice il Papa, bisogna usare “un supplemento di saggezza”, “amore e vicinanza”, “riconoscendo il limite che tutti ci accumuna”.
Ognuno “dia amore nel modo che gli è proprio: come padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, medico o infermiere. Ma lo dia!”. “E se sappiamo che della malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte.”.
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