Approvata l’estensione della fecondazione eterologa: l’utero in affitto è ormai dietro l’angolo.
Da oggi, in Francia, per fare figli non sono più necessari un padre e una madre. La loi bioétique è stata approvata alla Camera dei Deputati, con una maggioranza schiacciante: 336 favorevoli, 115 contrari e 42 astenuti.
Non è certo la prima volta che oltralpe vengono varate norme contro la famiglia naturale. Nel 2013, il mariage pour tous venne accolto come una svolta epocale, tuttavia, con la legge approvata l’altro ieri, lo strappo è stato decisamente più radicale.
In sintesi: sarà universalmente consentita la fecondazione artificiale per donne single e coppie lesbiche. Il tutto a spese dello stato. Ogni donna che voglia farsi inseminare dovrà semplicemente andare dal notaio e prenotare un donatore di sperma. L’età massima per sottoporsi a inseminazione artificiale è di 43 anni.
La legge autorizza inoltre le donne a crioconservare i propri ovuli, per inseminarli in futuro, anche in età non più fertile. I bambini concepiti in provetta, una volta raggiunta la maggiore età, potranno chiedere di conoscere l’identità del padre biologico, seppure quest’ultimo – a livello giuridico – non avrà alcun legame riconosciuto con il figlio.
La loi bioétique formalmente non legalizza l’utero in affitto, ma, de facto, spiana la strada a una sua normalizzazione. Se in precedenza, la fecondazione eterologa era consentita – come originariamente previsto anche dalla legge 40 italiana – solamente per le coppie sposate con evidenti problemi di fertilità, la sua estensione a qualunque donna, favorirà la diffusione surrettizia della maternità surrogata.
Così come appena approvata, infatti, la legge francese sulla fecondazione eterologa marca una discriminazione evidentissima: possono infatti ricorrervi le coppie omosessuali femminili ma non le coppie maschili. Facile, quindi, immaginare una raffica di contenziosi legali nei prossimi anni, in nome del principio di uguaglianza tanto caro ai transalpini.
Da notare che la loi bioétique è stata approvata dal Parlamento francese in barba all’opinione pubblica e ai pareri della comunità scientifica. Secondo un sondaggio IFOP, l’82% dei francesi si era detto contrario all’estensione della fecondazione artificiale a donne single e a coppie lesbiche. Durante gli Stati generali della bioetica, l’innovazione era stata bocciata dal 90,61% dei partecipanti. Anche l’Accademia nazionale di medicina l’aveva bocciata senza riserve, definendola una “rottura antropologica”.
Anche la Chiesa francese si è spesa per un anno e mezzo contro la loi bioétique. Lo ha fatto con dichiarazioni ufficiali e manifestazioni promosse dal laicato.
A suo tempo il vescovo di Frejus-Toulon, monsignor Dominque Rey, denunciò il progetto di legge in quanto minaccia alla “ecologia integrale” e alla “natura umana” stessa. “C’è un pericolo considerevole che bisogna prevenire – disse alcuni mesi fa il presule –. Noi dobbiamo dire per le generazioni future una parola chiara, altrimenti saremo complici e responsabili con il nostro silenzio di questa deriva”.
Da parte sua, l’arcivescovo di Parigi, monsignor Michel Aupetit, un passato da medico e una specializzazione in bioetica, formulò un distinguo particolarmente importante: “Queste donne non sono sterili. È la coppia omosessuale a essere sterile, ma sono due cose ben diverse – ha affermato Aupetit –. Queste donne potrebbero avere figli, mentre non hanno diritto a progettare un bambino, istituzionalizzando l’assenza e la privazione del padre. L’amore non è l’unica cosa che conta. Per imparare a essere padre e madre bisogna innanzitutto imparare ad essere figli”.
Secondo l’arcivescovo di Parigi, con questa legge “siamo a un passo dall’utero in affitto” e la premessa giuridica a tale ulteriore deriva era stata, a suo tempo, la codificazione del matrimonio e delle adozioni omosessuali. “Il diritto del bambino ad avere un padre e una madre viene prima del diritto della donna ad avere un bambino”, dichiarò monsignor Aupetit, aggiungendo che il bambino sarà sempre qualcuno da “proteggere”, proprio perché “non si può esprimere” e che, in base a questo, “la Chiesa continuerà a dire ciò che ritiene essere giusto”.
Luca Marcolivio
Fonte: Tempi
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