Di fronte alla crescente crisi delle vocazioni, la Chiesa si sta organizzando in modi talvolta inaspettati ma discussi da tempo.
Come ad esempio nel caso della parrocchia dei Santi Biagio ed Erasmo di Misano Monte, a Rimini, dove una coppia di coniugi è stata nominata alla guida di una parrocchia senza prete. Si tratta della prima volta che avvenga una cosa del genere. Una situazione molto simile si era infatti verificata nel 2018, a Roma, dove però l’incarico era andato solamente al marito della coppia, un diacono.
Papa Francesco in più occasioni ha affrontato, anche pubblicamente, l’argomento, spiegando che il tema della crisi delle vocazioni è uno di quelli che lo preoccupa maggiormente per quanto riguarda il futuro della Chiesa. I numeri parlano chiaro, tanto che Bergoglio ha parlato di “emorragia di vocazioni”. Lo ha fatto anche di fronte alla Cei nel 2018.
In quel contesto il Papa ha affermato che “la prima cosa che mi preoccupa è la crisi delle vocazioni. È la nostra paternità quella che è in gioco qui! Di questa preoccupazione, anzi, di questa emorragia di vocazioni, ho parlato spiegando che si tratta del frutto avvelenato della cultura del provvisorio, del relativismo e della dittatura del denaro, che allontanano i giovani dalla vita consacrata; accanto, certamente, alla tragica diminuzione delle nascite, questo ‘inverno demografico’; nonché agli scandali e alla testimonianza tiepida”.
La decisione nella parrocchia riminese è stata presa direttamente dal vescovo, monsignor Francesco Lambiasi, e non per sua personale iniziativa ma per sopperire al problema della mancanza di clero che ha colpito, come in molti casi d’Italia, anche la sua diocesi. Il parroco don Angelo Rubaconti si è infatti preso da tempo, spiegano dalla diocesi, “un periodo di riposo e riflessione”.
Così monsignor Lambiasi ha optato per la nomina del diacono Davide Carroli e della moglie Cinzia Bertuccioli quali referenti pastorali della parrocchia, oltre che collaboratori di don Giuseppe Vaccarini e don Roberto Zangheri nell’animazione dell’unità pastorale che unisce le parrocchie di Misano Adriatico, Misano Monte, Scacciano e Villaggio Argentina.
Il caso precedente nella capitale, su decisione del cardinale vicario Angelo De Donatis, aveva visto l’affidamento della parrocchia di San Stanislao, nella zona di Cinecittà, alla cura di un diacono sposato, Andrea Sartori, trasferitosi nella canonica con la moglie Laura e i loro quattro figli. Nomina che però riguardava solamente il marito, e non la moglie.
“San Stanislao vive una speciale vocazione che è quella di diventare una diaconia: una comunità cristiana che, in sinergia con le parrocchie del territorio della prefettura, diventa uno spazio di accoglienza e di accompagnamento dei poveri e delle persone ferite e sole, in vista del loro sviluppo umano integrale”, aveva spiegato il cardinale De Donatis.
“L’idea che c’è dietro è quella di recuperare una prassi antica della Chiesa, che prevedeva il sorgere di diaconie a fianco alle parrocchie, per il servizio dei poveri del territorio. A Roma ne è documentata l’esistenza fin dal VII secolo”. Di fatto, però, la Chiesa ha ben presente di fronte a sé il problema della mancanza del clero, tanto che secondo molti si trattava di uno dei temi più caldi di cui si sarebbe dovuto discutere in occasione del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia che si è tenuto nel 2019 in Vaticano.
Si parlava infatti, alla vigilia dell’assemblea, dell’ordinazione dei cosiddetti “viri probati” – uomini sposati che vengono incaricati delle funzioni sacerdotali – almeno in relazione a un contesto, come quello amazzonico, in cui la penuria di sacerdoti è ovviamente una realtà e non un’ipotesi futura. Nel documento in preparazione del Sinodo, pubblicato tra numerose discussioni e critiche che hanno accompagnato l’evento sia prima che durante e dopo, si scriveva che “una delle cose principali da ascoltare è il gemito di migliaia di comunità private dell’Eucaristia domenicale per lunghi periodi”.
L’idea che infatti, in alcuni Paesi più di altri, il caso di vocazioni sacerdotali sia così deciso che i pochi preti presenti sul territorio non riescano a raggiungere i fedeli nemmeno per garantire i sacramenti e la messa domenicale, impensierisce e non poco. Tuttavia alla fine del Sinodo si è deciso solamente per la possibilità di ordinare sacerdoti i diaconi permanenti, uomini sposati che hanno ricevuto il primo grado dell’ordine sacro. Così è accaduto nel caso romano e in quello riminese.
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“Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve, come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen gentium 26″, spiegava il documento finale del Sinodo.
Il tutto, “per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento”.
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“Quanti seminari, chiese e monasteri e conventi saranno chiusi nei prossimi anni per la mancanza di vocazioni? Dio lo sa”, era la domanda preoccupata del Papa nel discorso alla Cei nel 2018. “È triste vedere questa terra, che è stata per lunghi secoli fertile e generosa nel donare missionari, suore, sacerdoti pieni di zelo apostolico, insieme al vecchio continente entrare in una sterilità vocazionale senza cercare rimedi efficaci. Io credo che li si cerca, ma non riusciamo a trovarli!”.
La proposta del Papa ai vescovi italiani era quella di “una più concreta e generosa condivisione fidei donum tra le diocesi italiane, che certamente arricchirebbe tutte le diocesi che donano e quelle che ricevono, rafforzando nei cuori del clero e dei fedeli il sensus ecclesiae e il sensus fidei. Voi vedete, se potete. Fare uno scambio di sacerdoti fidei donum da una diocesi a un’altra”.
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“Penso a qualche diocesi del Piemonte: c’è un’aridità grande”, continuava Francesco nominando casi specifici. “E penso alla Puglia, dove c’è una sovrabbondanza. Pensate, una creatività bella: un sistema fidei donum dentro l’Italia. Qualcuno sorride. Ma vediamo se siete capaci di fare questo”. Una proposta concreta che, però, finora è rimasta lettera morta. Con il rischio che, se non si interviene rapidamente per risolvere questo problema, diverse parrocchie si troveranno molto presto senza guida”.
Giovanni Bernardi
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