Il saluto e gli auguri speciali di Francesco a un gruppo di sfortunati a fine omelia, si sommano a un messaggio di straziante dolore, unito alla sua espressione cupa e sofferta, dopo essersi soffermato su una serie di mali troppo presto dimenticati.
Durante la Veglia della Vigilia in San Pietro, papa Francesco ha centrato la sua omelia in particolare sulle donne testimoni della Resurrezione. Il loro ruolo si sintetizza in tre verbi: “vedono, ascoltano, annunciano”.
Quando vedono la tomba di Gesù scoperchiata, ricevono “il dono di una speranza sorprendente”, eppure “a volte – dobbiamo ammetterlo – nel nostro cuore questa speranza non trova spazio”.
Come accade inizialmente alle donne del Vangelo, anche noi contemporanei tendiamo a guardare “la vita e la realtà con gli occhi rivolti verso il basso”; siamo “disillusi sul futuro”, rimaniamo accomodati “nel carcere dell’apatia, mentre continuiamo a lamentarci” e “restiamo immobili davanti alla tomba della rassegnazione e del fatalismo”.
Ciononostante, “il Signore è risorto!”, ha detto il Santo Padre, esortando: “Alziamo lo sguardo, togliamo il velo dell’amarezza e della tristezza dai nostri occhi, apriamoci alla speranza di Dio!”.
Le donne della Resurrezione, non si limitano a vedere ma ascoltano la domanda che viene loro rivolta: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Impossibile “fare Pasqua” se si rimane “prigionieri del passato” o se non si trova “il coraggio di lasciarci perdonare da Dio”, ha sottolineato il Pontefice.
La scoperta del Sepolcro vuoto porta con sé, infine, l’annuncio della “gioia della Risurrezione”: di fronte a questo evento non si può indulgere “nell’estasi di un godimento personale”, né in “atteggiamenti sedentari”. Ogni testimone della Resurrezione “genera discepoli missionari che “tornano dal sepolcro” (cfr v. 9) e porta a tutti il “Vangelo del Risorto”.
Dopo aver “visto e ascoltato”, le donne, pur sapendo di poter essere “prese per pazze”, non si preoccupano della loro “reputazione” o di “difendere la loro immagine; non misurano i sentimenti, non calcolano le parole”.
“Com’è bella una Chiesa che corre in questo modo per le strade del mondo! Senza paure, senza tatticismi e opportunismi; solo col desiderio di portare a tutti la gioia del Vangelo”, ha proseguito il Papa, esortando a “fare esperienza del Risorto e condividerla con gli altri”.
Con Gesù, “il male non ha più potere, il fallimento non può impedirci di ricominciare”. Con Lui, “nessuna notte è infinita; e anche nel buio più fitto, brilla la stella del mattino”, ha concluso Francesco.
A conclusione dell’omelia, Bergoglio si è rivolto al sindaco di Melitopol, Ivan Fedorov e ad altri parlamentari e politici ucraini fuggiti dalla guerra, che hanno presenziato ieri sera alla veglia in San Pietro. “In questo buio che voi vivete, Signor Sindaco, Signore Parlamentari e Signori Parlamentari, il buio oscuro della guerra, della crudeltà, tutti noi preghiamo, preghiamo con voi e per voi, questa notte”. A loro ha rivolto gli auguri di buona Pasqua in lingua ucraina: “Christòs voskrés!”.
Il riferimento alla guerra è stato ampio e prevalente anche durante il messaggio Urbi et Orbi, pronunciato oggi dalla Loggia centrale della Basilica di San Pietro. Gli “sguardi increduli” dei discepoli davanti al sepolcro vuoto di Gesù, sono gli stessi di noi contemporanei “in questa Pasqua di guerra”.
“Troppo sangue abbiamo visto, troppa violenza – ha detto il Santo Padre –. Anche i nostri cuori si sono riempiti di paura e di angoscia, mentre tanti nostri fratelli e sorelle si sono dovuti chiudere dentro per difendersi dalle bombe”. Di fronte a tali devastanti scenari di morte, “facciamo fatica a credere che Gesù sia veramente risorto, che abbia veramente vinto la morte”.
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E invece, “oggi più che mai” abbiamo bisogno del Risorto, “al termine di una Quaresima che sembra non voler finire”. Dopo due anni di pandemia, sarebbe stato “il momento di uscire insieme dal tunnel, mano nella mano”, invece, gli eventi attuali dimostrano “che in noi c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo”, ha ammonito il Pontefice.
Soltanto attraverso le “piaghe” del Crocifisso Risorto si può “credere nella vittoria dell’amore, per sperare nella riconciliazione”. “Lasciamo entrare la pace di Cristo nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri Paesi! Sia pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata”, è stata l’esortazione del Papa dalla Loggia di San Pietro.
“Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre – ha aggiunto –. Per favore, non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade! Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente”.
Francesco ha quindi citato le parole del manifesto di Bertrand Russell e Albert Einstein, diffuso in piena Guerra Fredda (1955): «Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?».
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Bergoglio porta “nel cuore tutte le numerose vittime ucraine, i milioni di rifugiati e di sfollati interni, le famiglie divise, gli anziani rimasti soli, le vite spezzate e le città rase al suolo”.
Accanto ad essi ha menzionato “bambini rimasti orfani e che fuggono dalla guerra”, di cui è impossibile “non avvertire il loro grido di dolore, insieme a quello dei tanti altri bambini che soffrono in tutto il mondo: quelli che muoiono di fame o per assenze di cure, quelli che sono vittime di abusi e violenze e quelli a cui è stato negato il diritto di nascere”.
Non sono mancati, durante il Messaggio Urbi et Orbi, riferimenti ai tanti conflitti dimenticati e alle tante tensioni mai sopite: Gerusalemme, Libano, Iraq, Siria. Libia, Yemen, Myanmar, Afghanistan, America Latina, “tutto il continente africano”, con menzioni particolari per la “zona del Sahel”, l’Etiopia, la Repubblica Democratica del Congo. “Lasciamoci vincere dalla pace di Cristo! La pace è possibile, la pace è doverosa, la pace è primaria responsabilità di tutti!”, ha quindi concluso il Santo Padre.
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