È una missione di vita: curare i più piccoli. Guardare le loro sofferenze, cercare di confortarli, da loro la giusta cura ed anche strappargli un sorriso. In un’intervista, un pediatra si racconta.
Lui è il responsabile del reparto Covid dell’ospedale “Bambino Gesù” di Roma. La lotta contro questo virus, la difesa dei bambini e l’affidarli a Dio, che tutto sa e può.
Una storia di vita, di un uomo che sceglie di donarsi per aiutare chi è nel bisogno. E quando lo si fa con e per i più piccoli, riempie ancora di più il cuore. In un’intervista, il dottor Andrea Campana, responsabile del reparto Covid dell’Ospedale “Bambino Gesù” di Roma, si racconta e spiega come è lavorare per questi piccoli pazienti.
Lui ha 52 anni e da quasi 30 fa il pediatra: “Mestiere bello e difficile”. E quante volte ha dovuto affrontare i limiti dell’essere medico, specialmente quando non si hanno i mezzi e le armi sufficienti per salvare quelle piccole vite: “Come pediatra curi i bambini, in sala parto li fai nascere a 25 settimane e li rianimi. Senti che stai salvando una vita, accade tutti i giorni. Ma vedi anche tanti bambini morire. E quelli li porti con te” – descrive nell’intervista.
La decisione di diventare pediatra, forse, l’aveva già nel sangue, perché anche lui è stato un bambino “salvato”: “A due mesi mi avevano dato per morto, a causa di un malassorbimento intestinale. Il primario di Parma mi ha tenuto ricoverato due mesi e mezzo”.
I bambini: nel corso dei suoi anni di lavoro in ospedale ne ha visti e curati tanti. Soprattutto in tempo di Covid. A Brescia, sua città d’origine, tanti sono coloro che sono stati infettati e sono morti e, più volte, il pensiero di Andrea è tornato alla sua città: “Ero tentato di tornare su, a dare una mano. Poi il 10 marzo ci hanno comunicato la nascita del reparto e dal 13 eravamo operativi […] Ho ricoverato quasi mille bambini, e di questi uno su 25-30 va in rianimazione. Adesso ho due neonati ricoverati, 4 in rianimazione. L’età media è sotto i 5 anni” – racconta.
Ma come fare ad affrontare tutta questa sofferenza? Andrea trova forza nella preghiera: “Ho una mia religiosità molto forte. Prego al mattino pensando ai volti, alle persone, anche a quelle che non ci sono più”.
La sua fede è nata grazie anche a sua nonna, che era una terziaria francescana e al suo insegnante di religione, don Franco: “Mi ha insegnato con gli atteggiamenti come comportarmi con gli altri, e su questi valori mi sono sempre confrontato con chi ho incontrato” – spiega.
Il suo continuo tendere la mano alle persone che hanno bisogno di cure, non lasciarle mai da sole e pregare per loro, specie per i più piccoli: la base del suo essere medico.
Fonte: famigliacristiana
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