“Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura” (Giovanni 17, 12).
Quanto si può argomentare su questo passo del Vangelo di Giovanni?
Tantissimo è dir poco, perché il brano si riferisce alla scelta dei dodici Apostoli, che seguirono Gesù nella sua opera di predicazione, alla loro istruzione in merito e alla condotta relativa all’insegnamento del Cristo.
Ma il passo parla anche della loro salvezza e della perdizione di Giuda: “Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti e disse: “Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?”. E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnarlo” (Matteo 26, 14-16).
Uno dei dodici, uno dei suoi fedelissimi seguaci, diviene infedele, tradisce, è concausa del suo arresto e della sua condanna, non si salva dalla morte eterna.
Il primo pensiero è che ciò sia avvenuto perché predestinato, per adempiere le Scritture appunto, ma sappiamo che non così agisce il Creatore dell’uomo, che regala ad ogni essere il libero arbitrio, perché decida autonomamente come comportarsi, cosa scegliere di attuare in ogni sua giornata.
Allora perché la figura di Giuda Iscariota, quello che lo tradì spudoratamente e per vile denaro, non viene annullata dal racconto evangelico o, prima ancora, dalla lista dei dodici?
Avrebbe questo salvato Cristo dalla croce? E come allora si sarebbe attuata la sua vittoria contro il male e le tenebre, per riscattare le anime nostre dal buio eterno?
Beh, quando Gesù sceglie i dodici Apostoli, perché siamo i primi testimoni del suo messaggio messianico, si comporta come chi sceglie degli amici, che possano supportarlo e comprenderlo. “Non sono forse io che ho scelto i dodici, eppure uno di voi è un diavolo” (Giovanni 6, 70), dice Gesù, che è libero di agire nella sua storia e in quella dell’umanità, chiamando tutti a partecipare al suo progetto, alla conversione totale.
Gesù è libero di amare tutti, ad ogni costo e fino alla fine, sperando che ognuno si ravveda e decida di fare la cosa giusta: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Giovanni 15, 16).
D’altro canto, tutti gli Apostoli, anche Giuda quindi, rimasero liberi di accettare o meno l’amore del Signore Gesù, di credere o meno alle sue Parole, di aderire o meno alla sua Missione.
Giuda scelse di rifiutare Cristo; anch’esso dotato della liberta di azione, permise al demonio di entrare nel suo cuore e di corromperlo, si lasciò deludere dal Signore e non se ne preoccupò più: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo … (Giovanni 13, 1-2).
Così, la libertà di Dio, di volere il bene per l’uomo e di entrare nelle sue vicende, si scontra con la libertà dell’uomo di volere il proprio bene, e solo quello.
Probabilmente, se Giuda avesse deciso diversamente, il tradimento dell’uomo si sarebbe attuato in altro modo, poiché: “Il Signore ha fatto tutto per un fine, anche l’empio per il giorno della sventura” (Proverbi 16, 4); ma sappiamo che non è andata così.
La debolezza di Giuda, dunque, diviene immensa ed è l’artefice della storia del peccato contro Dio, Salvatore del mondo.
Non dimentichiamo, tuttavia, che non fu il solo a dubitare del Cristo, in quel frangente; come sappiamo, anche San Pietro e San Tommaso (per citarne un paio) tentennarono fortemente, nei riguardi del loro Maestro, in momenti diversi, ma altrettanto significativi.
Eppure, tutti e dodici gli Apostoli avevano vissuto, giorno e notte, a stretto contatto con lui; lo avevano visto pensare, agire, accattare la volontà del Padre, perdonare i peccatori, guarire i malati e chiamare a se le folle.
Pietro avrebbe potuto, forse, difenderlo, prima che venisse appeso alla croce; Tommaso avrebbe dovuto sapere che non poteva che essere risorto, ma la debolezza umana prese il sopravvento, in molte occasioni, e questo -a tratti- ci conforta, poiché ci pone nella condizione di riconoscerci bisognosi di essere risollevati dal peccato, dalla incertezza che mina la nostra fede.
Sia Pietro che Tommaso, poi, chiesero perdono; riuscirono a non lasciarsi vincere dall’angoscia di aver commesso un grave atto di disobbedienza; si ri-affidarono alla misericordia di Dio e tornarono a vivere per Cristo.
Giuda Iscariota non seppe farlo! Si pentì del suo atto, tanto che restituì il denaro preso per il tradimento (“Il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì infatti amaramente di ciò che aveva fatto. Restituì le trenta monete d’argento ai sommi sacerdoti e agli anziani, dicendo “Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente”, ma quelli dissero: “Che ci riguarda? Veditela tu!”. Egli allora gettò le monete nel tempio e andò a impiccarsi” (Matteo 27, 3-5)), ma questo non gli restituì la fiducia in Gesù; non poté credere di riscattarsi e scelse di annientarsi. Questo fu un peccato peggiore del primo e senza ritorno.
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