“La pecora perduta e ritrovata”
(Lc 15, 1-10)
Delle due piccole parabole, cercheremo di prendere in considerazione una sola, la prima “la pecora perduta e ritrovata”, perché la seconda” la dramma perduta e ritrovata” non è molto dissimile. Entrambe tuttavia fanno parte del trittico parabolico proprio del cap. 15 di Luca di cui la terza, molto conosciuta, è la parabola del “figlio perduto e ritrovato” (il “Figlio prodigo”).
La figura che emerge alla nostra memoria ascoltando la parabola è quella del “buon pastore”: ci è molto nota e molto cara, soprattutto nella versione riportata dal vangelo di Giovanni (Gv 10, 11 e ss). Subito vediamo inconfondibilmente Gesù come il “bel pastore” che ama le pecore, le conduce al pascolo, le conosce una ad una, loro conoscono la sua voce, offre la vita per le pecore, Gesù è “l’inviato alle pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15, 24). Lui, che è il vero pastore, si preoccupa della pecora smarrita perché, da pastore autentico, è venuto a “salvare ciò che era perduto” (Lc 15, 5).
Dunque le persone che stanno a cuore a Gesù sono “i perduti”, coloro che, per qualsiasi ragione, si trovano in una condizione di “morte” spirituale (“in umbra mortis”): si sono allontanati da un ambito di vita e sono spariti nella massa degli anonimi, perdendo la propria identità, la propria appartenenza, la propria sicurezza. Lui è venuto per loro. Coniugando pecora e pastore si ha l’immagine della relazione intrinseca-esistenziale tra la missione del pastore e la qualità della vita delle pecore.
Gesù – “Chi di noi” – è facilmente identificabile nel comportamento del “pastore” e chi si è distanziato dal gregge, allontanandosi da un luogo sicuro per la salvezza, è identificabile nella “pecora”. La relazione tra le due figure appare immediata e quasi ovvia e sta prima di ogni altra preoccupazione, per esempio quella di sapere perché se n’è andata o perché se si è persa o quella di capire in che cosa consiste la conversione.
Un paradosso, leggibile nell’equazione 99:1=io sto a tutti, si presenta come fonte di sicuro interesse, e dunque rappresenta il “focus” plastico della parabola. E’ un rapporto numerico che “serve a mettere in risalto la totale irrilevanza di una sola pecora; la ricerca della pecora non è determinata affatto dal suo valore, bensì solo dal fatto che essa esiste e si è persa dal gregge” (cfr. H. Weder, Metafore del regno, 1991, p. 212). Questa paradossale valutazione della pecora perduta (“una”) non intende discriminare le altre “novantanove”, né in modo diretto, né in modo allusivo. Qui conta la “perduta” non le “novantanove”.
L’interpellazione “chi di noi” intende coinvolgere nel consenso l’uditorio per esaltare il comportamento, di assoluta benevolenza, del pastore: perciò lo spettatore diventa attore e protagonista. Ma il vero e unico protagonista è lui, il centro della parabola, per cui Luca mira ad una mini-cristologia tale da illustrare “chi è Gesù” che si rivela essere “come il Padre”. Di fatto i suoi comportamenti esprimono gli stessi comportamenti di Dio nei confronti dei “peccatori”, nei confronti di Israele. In Gesù non sussistono confini etnico-religiosi perché il suo sguardo, la sua parola, il suo gesto riguarda l’umanità intera.
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