La Pasqua e il Natale sono certamente le due festività più grandi del cristianesimo. Il Natale ricorda e celebra l’incarnazione del Verbo, la Seconda Persona della SS. Trinità, nel seno purissimo della Vergine Maria. Tutta la storia della salvezza, ed anche la storia meravigliosa della Chiesa prende inizio da qui. Senza la nascita di Cristo, evidentemente non ci sarebbe stata né la sua passione, né la sua gloriosa morte in croce, né la sua resurrezione dai morti. Ma la Pasqua del Signore, come passaggio unico e irripetibile, fisico e storico, dalla morte alla vita, supera e porta ad un livello incomparabile il progetto salvifico del Messia.
A livello storico-liturgico, secondario rispetto a quello dogmatico ma sempre interessante, giova sapere il modo di stabilire la data della Pasqua. Così, almeno a partire dal primo Concilio ecumenico della cristianità, (Nicea, 325), “tutte le Chiese si sono accordate perché la Pasqua cristiana sia celebrata la domenica che segue il plenilunio (14 Nisan) dopo l’equinozio di primavera. A causa dei diversi metodi utilizzati per calcolare il giorno 14 del mese di Nisan, il giorno di Pasqua non sempre ricorre contemporaneamente nelle Chiese occidentali e orientali” (n. 1170 del Catechismo della Chiesa cattolica: da ora in poi si citerà unicamente il numero del paragrafo).
Come insegna il Catechismo, “La risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del mistero pasquale della croce” (n. 638).
Se la Bibbia non mente, Mosè ha aperto il mar Rosso (Es 14,21), l’asina di Balaam ha parlato (Num 22,28ss), il diluvio universale ha ricoperto la terra (Gn 7), e siamo tutti figli di una prima coppia di esseri umani i quali hanno disobbedito a Dio (Gn 1-3). Allo stesso modo, se il Vangelo non mente, una vergine è rimasta incinta, ha partorito ed ha dato alla luce un bambino in carne ed ossa, il quale era lo stesso identico Creatore, eterno ed onnipotente, del cielo e della terra.
La resurrezione di Cristo, 3 giorni dopo la crocifissione, prima di essere una verità della fede, è un fatto storico acclarato, come lo sono la scoperta dell’America, le guerre puniche, l’impero romano e le invasioni barbariche. Certo, è un fatto storico particolare, poiché ha delle cause superiori alla Storia: ma queste cause trascendenti, collegate direttamente alla provvidenza divina, non ne cancellano la storicità e la verificabilità.
Come nettamente insegna il Catechismo (e si faccia attenzione alle parole usate) non stiamo nei mondi, pur affascinanti, dei sogni, delle favole, della mitologia, delle religioni inventate dagli uomini o del fantasy: “Il mistero della risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento” (n. 639, corsivo mio). E ancora: “Davanti a queste testimonianze [le testimonianze veridiche e convergenti degli apostoli e dei discepoli che attestano sia il sepolcro vuoto sia l’incontro ripetuto con Cristo risorto, vivo e vegeto] è impossibile interpretare la risurrezione di Cristo al di fuori dell’ordine fisico e non riconoscerla come un avvenimento storico” (n. 643, corsivo mio).
E’ assolutamente decisivo che il Catechismo, pubblicato nel 1992 ovvero dopo lo sbandamento generale della teologia negli anni 60, 70 ed 80, sia tornato a parlare della resurrezione come avvenimento reale, avvenimento storico e fatto interno all’ordine fisico. Una teologia misticoide e pseudo-apofatica ha cercato di ridurre il fatto della resurrezione a momento della fede, slancio mistico, convinzione auto-indotta, dogma tardivo o evento meramente trascendente e sovrannaturale.
“Al contrario, la loro fede nella resurrezione è nata – sotto l’azione della grazia divina – dall’esperienza diretta della realtà di Gesù risorto” (n. 644, corsivo mio).
Non sono mancati e non mancano neppure oggi i teologi e i teologastri che non ammettono la storicità della resurrezione e neppure, ovviamente, degli altri miracoli raccontati dai Vangeli. E se è lecito dubitare di questi, sarà a fortiori lecito dubitare dei miracoli dei santi, miracoli però che da secoli e secoli sono necessari alla conclusione positiva del procedimento canonico per l’accertamento della santità. Se quindi il miracolo come tale fosse opinabile, e non scientificamente accertabile, la Chiesa in nome di cosa ne reclamerebbe uno per la beatificazione e due per la canonizzazione di un servo di Dio?
Se Cristo non è (realmente ed effettivamente) risorto dalla morte, è lecito pensare che non abbia fatto neppure gli altri miracoli a noi pervenuti: la moltiplicazione dei pani e dei pesci, le guarigioni portentose e istantanee, le profezie realizzate, la conoscenza dei pensieri altrui, etc. Ma se la Bibbia racconta cose false ed estranee all’ordine fisico-materiale della storia, come credere ad essa? E come credere alla Chiesa che su di essa fonda il suo depositum fidei? Se non ha compiuto miracoli (certi ed empirici) il Maestro, che si è presentato come avente natura divina (Gv 8,28), ne avranno forse compiuti i discepoli, che erano uomini come noi, segnati dal peccato?
“Se Cristo non è risorto, allora vana è la nostra predicazione e vana è la nostra fede”, ci sarebbe da esclamare con san Paolo (1 Cor 15,14). Ma se è risorto, e se si tratta di un miracolo strepitoso “nella creazione e nella storia” (n. 648) e non fuori di essa, allora la speranza diventa certezza, e la fede cristiana è la più ragionevole delle adesioni.
Infatti, “Tutte le verità, anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della sua autorità divina” (n. 651). Tra queste verità sublimi, che superano l’umana immaginazione, la prima è proprio quella dell’incarnazione. Dio, a cui si può e si deve giungere già con l’uso della ragione e con la meditazione, si è fatto uomo ed ha vissuto tra i mortali: “La verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua resurrezione” (n. 653).
Tutto questo immenso patrimonio di grazia e di verità ci viene offerto, gratuitamente, ogni giorno e ogni anno nelle nostre chiese di pietra.
Come insegna il Concilio, “La santa Madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria in giorni determinati nel corso dell’anno l’opera della salvezza del suo Sposo divino. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa la memoria della Resurrezione del Signore, che ogni anno, unitamente alla sua beata Passione, celebra a Pasqua, la più grande delle solennità” (Sacrosanctum Concilium, 102).
“Per questo la Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre, è la festa delle feste, la solennità delle solennità” (n. 1169).
La Resurrezione di Cristo è quindi l’acme della religione, il sigillo divino sull’unica Chiesa di Cristo, il ponte necessario tra il mondo trascendente e quello terreno, il cuore della fede e il trampolino della nostra speranza.
Fabrizio Cannone
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