Vi siete mai soffermati sul significato e la valenza della parola “Amen”? Questa è forse la parola di utilizzo più frequente tra i fedeli, ma il suo significato profondo rimane celato nella sua lingua d’origine (l’ebraico antico) ed è difficilmente traducibile in italiano o nella altre lingue moderne con un vocabolo equivalente, da qui la decisione di mantenere il vocabolo nella sua forma originale.
La parola “Amen” viene dunque recitata alla fine di ogni preghiera, come un’attestazione di veridicità di quanto appena detto, come dire: “Io credo, confermo e mi associo a quanto appena detto”. Alla fine di ogni preghiera, dunque, il fedele mostra la sua fede attraverso questa forma di sottoscrizione verbale, un ammissione costante della propria appartenenza al verbo di Gesù, c’è però un occasione in cui il Padre Nostro (preghiera per eccellenza della liturgia Cattolica) in cui ne il fedele ne tanto meno il Sacerdote conclude questa preghiera con un Amen: alla fine della Messa.
Il motivo della mancanza di assenso nel Padre Nostro che sancisce il termine della Messa è presto detto, la preghiera in quel particolare caso non è ancora finita. Chiunque vada con frequenza in Chiesa si è accorto che al “Liberaci dal male” il sacerdote invece di dire “Amen”, continua a parlare da solo dicendo: “Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”, si tratta di una tipologia liturgica chiamata “Embolismo”, ovvero una preghiera che viene introdotta da un altra e la sviluppa.
Come potete capire, in questa occasione, il Padre Nostro è parte integrante della liturgia della Messa e non una preghiera scorporata, tant’è che i fedeli al termine della seconda parte di preghiera non la concludono con un amen, bensì con una formula la cui origine si perde nei tempi: “Tuo il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli”.