Molti santi, nel corso della loro vita, sono stati chiamati a sopportare tante prove dolorose. Qual è il senso di ciò e perché Dio lo ha permesso?
Una fedele pone un quesito molto particolare a un sacerdote. Non è sempre semplice comprendere la sofferenza che le mistiche provano durante la loro vita. Perché subiscono tanto?
Quando sentiamo parlare della vita di una mistica e ci imbattiamo, anche, nelle tante sofferenze che questa ha subito, ci chiediamo subito: “Ma perché?”.
Una fedele ha posto proprio questa domanda a padre Angelo: “Mi è capitata l’occasione, ultimamente, di ascoltare le storie di alcune mistiche moderne. Per lo più storie di giovani donne che hanno patito molte sofferenze e che hanno vissuto in modo eccezionale. Una delle costanti di queste biografie mi ha colpito particolarmente. Stando ai racconti, pare che Gesù stesso, nelle manifestazioni personali, abbia chiesto loro di immolarsi per la salvezza delle anime, così che, oltre a dolori indicibili che la vita ha loro inferto (malattie, problemi familiari, umiliazioni) queste anime sante hanno patito i dolori di Gesù sulla Croce” – spiega la fedele.
Ma la sua domanda è molto precisa: “Mi chiedo per esempio: come può un Dio immensamente buono chiedere ad una persona, che già soffre di suo, di patire volentieri e anche di più per seguirlo sulla via della Croce? L’immagine di Gesù che per santificare infligge sofferenze mi destabilizza.
Se io, che sono una persona comune piena di peccati, volendo bene a qualcuno in modo imperfetto, tendo a risparmiare fatiche magari facendomene carico, come posso concepire un Dio misericordioso che, amando in modo perfetto le sue creature, chieda sacrifici anche disumani? Forse come prove d’amore? Ma Dio per santificare ha davvero bisogno di prove d’amore estreme?
Oppure dobbiamo pensare che queste mistiche, in assoluta buona fede, proiettino su Dio aspettative che in realtà sono solo personalissime tensioni verso l’Assoluto? Insomma, che sia solo un fatto inerente la psiche? Capisco che le vie del Signore non sono le nostre vie, ma un tipo di comportamento contrario persino al nostro comune senso di umanità, contrario alla logica e alla Ragione, può davvero provenire da Dio? E che peso dobbiamo dare a queste storie?”.
La risposta che le dà il sacerdote ci arricchisce, anche, nella conoscenza. “Nella misura in cui ci si allontana sempre di più dalla logica evangelica non si comprende che cosa si nasconde nella sofferenza. Non accontentarti di dire “capisco che le vie di Dio non sono le nostre vie”, piuttosto cerca di penetrare nelle vie di Dio e di domandarti anzitutto perché Cristo ha sofferto così.
La sofferenza delle mistiche che hai menzionato si comprende solo alla luce della sofferenza di Cristo. La loro sofferenza infatti è una realtà, ma nello stesso tempo è icona o immagine della sofferenza e della croce di Nostro Signore. Gesù è entrato volontariamente nel mondo della sofferenza e l’ha trasformata, l’ha trasfigurata. L’ha fatta diventare donazione, amore genuino e riparazione. Ciò che si nasconde nella sofferenza di Nostro Signore è il suo amore”.
Le mistiche partecipano alle sofferenze di Cristo: “Le sue parole più importanti sono quelle che ha proferito nell’ultima cena: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”; “Questo è il mio sangue versato per voi in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”.
Credo di non sbagliare se dico che quelle erano le parole che ripeteva nel suo interno durante la flagellazione, la coronazione di spine, l’essere inchiodato e appeso in croce. Su queste parole e soprattutto su ciò che esprimono ci ha comandato di tornare incessantemente dicendo: “Fate questo in memoria di me”. La nostra vita cristiana ruota attorno a queste parole per farle entrare nella nostra vita e svelarne il senso più profondo” – spiega Padre Angelo.
Per far comprendere al meglio a chi scrive, il sacerdote cita anche Karol Woytila: “Giovanni Paolo II nell’enciclica Salvifici doloris ha detto che “la Croce di Cristo getta in modo tanto penetrante la luce salvifica sulla vita dell’uomo e, in particolare, sulla sua sofferenza”. Va ricordato che il Papa ha scritto quell’enciclica dopo l’attentato. Quest’annotazione è importante perché si comprende subito che quanto ha scritto non è la poesia sulla sofferenza, ma è la testimonianza di ciò che ha vissuto nel suo corpo.
Quasi aprendo il suo cuore per comunicare ciò che passava nel suo animo durante quella dolorosa vicenda ha rilevato come “la sofferenza, presente sotto tante forme diverse nel nostro mondo umano, vi sia presente anche per sprigionare nell’uomo l’amore, proprio quel dono disinteressato del proprio «io» in favore degli altri uomini, degli uomini sofferenti.
Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano”. In particolare, fissando lo sguardo su Gesù, il Papa dice: “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza ed a far del bene a chi soffre. In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza”.
San Paolo direbbe: “L’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito”. Se non entri nella logica di Dio, è quasi fatale che tu ti possa fare di Dio un’idea che corrisponde ad una caricatura: “Come può un Dio immensamente buono chiedere ad una persona, che già soffre di suo, di patire volentieri e anche di più per seguirlo sulla via della Croce?
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Dio non chiede di soffrire, ma chiede di amare. Chi ha capito che cos’è l’amore e che cosa significa donare, non si meraviglia della croce. Tanto meno Gesù “infigge sofferenze”. Questa è la vera caricatura! Piuttosto Gesù chiede di portare la propria croce e di portarla dietro a Lui, e cioè con i suoi sentimenti e in comunione con Lui. E garantisce per chi fa così che anche la croce – di sua natura pesante e orrenda – diventa peso leggero e giogo soave” – conclude.
Fonte: amicidomenicani
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ROSALIA GIGLIANO
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