La storia di Philip Mulryne, raccontata ai presenti nel corso di un incontro in cui si discuteva del rapporto tra fede e sport, è la dimostrazione di come la parabola del figliol prodigo sia applicabile anche al giorno d’oggi. Cresciuto nella protestante Irlanda del Nord nel periodo difficile in cui la nazione appartenente alla Gran Bretagna era sconvolta dalla guerriglia cittadina, Philip è stato educato alla religione cattolica dalla sua famiglia. Nel ricordare gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, Philip spiega come la situazione fosse dura ma anche come l’aiuto della parrocchia sia stato fondamentale per superare il disagio e la paura: “Vivevo a Belfast, capitale dell’Irlanda del Nord, durante la guerra civile. C’era un brutto clima, ma il legame con la parrocchia ci sosteneva. Nella squadra parrocchiale nel 1994 giocavo le prime partite ed è lì che un talent scout mi scoprì”.
L’osservatore lo portò alla corte di Sir Alex Ferguson, vero e proprio maestro di calcio degli anni ’90. Gli anni a Manchester e allo United lo hanno allontanato dalla fede (timore che aveva la madre e motivo per cui all’inizio si era opposta alla carriera calcistica), ma gli hanno insegnato i valori dello sport e di un altro tipo di famiglia: la squadra. L’ex calciatore spiega infatti come sir Alex facesse di tutto per fare sentire i propri calciatori a casa: “Ci conosceva uno per uno per nome, e quando vedeva in me la nostalgia di casa chiamava mia madre. Inoltre i grandi campioni, quelli di cui avevo a casa il poster, ci stavano vicini, ci consigliavano, erano celebrità con un tocco umano”.
Dopo 8 anni a Manchester, Philip è andato al Norwich e qui il capitano della squadra lo ha fatto riavvicinare alla fede portandolo a Messa. Da quel giorno il calciatore ha capito di aver accantonato una parte importante della sua vita e grazie all’aiuto della sorella ha scoperto la sua vocazione. A conclusione del racconto il frate dominicano ha detto ai presenti: “Non c’è contraddizione tra fede e sport, Dio migliora le cose e le rende tutte più godibili. Lui nella Sua mente già conosceva non solo i miei 15 anni nel calcio, ma anche quelli successivi di frate domenicano. Ora attendo da Lui il mio nuovo capitolo…”.
Luca Scapatello
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