Un titolo forte quello scelto dal quotidiano “Avvenire” che invita alla piena e completa riflessione su un argomento spinoso quanto importante.
“Avvenire” sottolinea la perplessità circa la decisione del Ministero della Salute sulla pillola abortiva Ru486: “Un controllo che non c’è”.
È un titolo forte che deve suscitare riflessioni attente e concrete. Il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana, l’Avvenire, torna di nuovo sulla decisione del Ministero della Salute circa le nuove norme e regole dettate da quest’ultimo sull’uso della pillola abortiva Ru486.
“Suscita perplessità la decisione ministeriale di coinvolgere i consultori familiari nella pratica abortiva. La rete consultoriale nasce con la finalità esattamente opposta: fornire un’alternativa alle donne che pensano di trovarsi costrette dalle circostanze più varie a spegnere in grembo la vita del proprio bimbo” – scrive il quotidiano.
Una considerazione forte che lede anche alcuni principi della Costituzione: “Tra gli scopi dei consultori vi è la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento. In tutti gli 8 articoli di cui si compone il testo l’interruzione di gravidanza non è mai prevista: si parla solo di contraccezione” – continua il quotidiano.
Una contraddizione presente, quindi, fra interruzione volontaria di gravidanza e il vero scopo della presenza dei consultori: “I consultori familiari assistono la donna in stato di gravidanza (…) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza” – è scritto nell’articolo 2 della legge 405 del 1975 che ha istituito, in Italia, queste strutture specifiche.
La legge prosegue, inoltre, con la spiegazione del fine che hanno i consultori. “Assistere la mamma e il suo bambino anche dopo la nascita, in caso di maternità difficile”. Ma il punto cruciale è presente nell’articolo 5 di suddetta legge: “I consultori, quando si trovano innanzi una donna che chiede l’interruzione volontaria della gravidanza, hanno il compito in ogni caso (…) di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta (...) di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione di gravidanza”.
Quindi, ne consegue, un consultorio (e i suoi relativi medici e volontari al suo interno) deve consigliare, aiutare la donna. Qualora la donna decidesse comunque di abortire, “la legge vietava e vieta al consultorio di fare da sé. L’aborto, infatti, può essere effettuato solo da una (diversa) struttura autorizzata” – conclude il quotidiano Avvenire.
Un compito che è stato dato, ma che non spetta al consultorio. Questo significa aver violato una legge vigente, portando chi lavora all’interno degli stessi consultori, a delle scelte scellerate nel non pieno rispetto della vita, a partire dal suo concepimento.
Le parole del quotidiano “Avvenire” fanno riflettere e, dovrebbero, far riflettere soprattutto chi ha pensato ed ha proposto una modifica di legge così sconvolgente. Essa non ha conto né della madre, né di quel bambino che, forse, mai vedrà la luce.
Fonte: ansa.it
ROSALIA GIGLIANO
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