Quali la metà delle persone che in Europa sono morte a causa del coronavirus erano residenti in strutture di cura per anziani. In Italia, il caso maggiore è quello del Pio Albergo Trivulzio.
Si tratta del tragico resoconto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, messo in luce dal direttore regionale per l’Europa Hans Kluge. Kluge nel dare il triste annuncio ha specificato come dalle indagini e dall’analisi dei dati sia venuto fuori un “quadro profondamente preoccupante” per tutte le persone anziane che sono in cura a lungo termine presso le Rsa.
Coronavirus, il dramma degli anziani nelle Rsa
“Secondo le stime dei paesi della regione europea, fino alla metà di coloro che sono morti a causa di Covid-19 erano residenti in strutture di assistenza a lungo termine”, ha affermato. “Si tratta di una tragedia umana inimmaginabile”.
Come raccontato anche nei giorni scorsi, il dramma delle morti per coronavirus riguarda dolorosamente tutto l’Occidente. Ogni paese europeo ha i suoi scandali dovuti alla negligenza e all’impreparazione delle residenze per anziani di fronte all’arrivo del coronavirus, che ha visto le generazioni più adulte sacrificarsi sull’altare delle approssimazioni e del dio denaro, di una società che non riesce più a riconoscerli come loro padri e nonni.
Il caso italiano delle Rsa
Anche in Italia le Rsa sono al centro del ciclone delle inchieste e dei media. In particolare il Lombardia, per il semplice motivo che è stato il territorio più attaccato dal virus, e dove di conseguenza gli anziani hanno pagato il prezzo più salato. Il caso più discusso è quello del Pio Albergo Trivulzio, a Milano. Meglio noto come “La baggina”, il Pio Albergo Trivulzio è passato alle cronache storiche anche per essere il luogo dove si avviarono le indagini del pool di Mani Pulite che condusse alla maxi-inchiesta Tangentopoli.
“Con l’arresto di Mario Chiesa si vide subito dove stavano il male e la colpa, qui il ‘nemico’ è invisibile ed era difficile capire subito come agire.A posteriori si sarebbe fatto diversamente”, racconta ad Agi Don Carlo Stucchi, 77 anni, lo storico cappellano del Pio Albergo Trivulzio. Mario Chiesa era il presidente del Pio Albergo Trivulzio quando, nel febbraio del 1992, venne colto in flagrante mentre accettava una tangente. Da lì scoppiò il caso Mani Pulite.
Il Pio Albergo Trivulzio, dove iniziò Mani Pulite
“Entrai qui pochi mesi prima che scoppiasse tangentopoli e, vista l’età, me ne andrò dopo la bufera del coronavirus“, continua. “Allora pensavo di restare tre anni ma, dopo quanto accaduto, ho percepito che potevo essere di qualche utilità. Un sentimento che permane ancora oggi e che si esprime negli incontri con le persone. Non ricordo di essermi mai annoiato, c’è sempre da scoprire un mondo”.
Il cappellano oggi vede tristemente “un volto unico di sofferenza”. Che riguarda “non solo la sofferenza degli anziani, dei malati, dei familiari ma anche del personale medico infermieristico, tecnico amministrativo. Tutti ne sono coinvolti”. “Sento ripercuotere dentro di me il mistero della sofferenza umana concreta e palpabile. Anche di chi ha il peso delle responsabilità”, prosegue il racconto.
L’accusa di non avere provveduto agli anziani
“Sono accusati di non aver provveduto. Forse”, risponde candidamente il cappellano. “Io stesso mi sono reso conto tardi di quello che realmente e drammaticamente stava accadendo. Un piccolo episodio: quando nei primi giorni di marzo il direttore sanitario mi ha dato camice, guanti e mascherina, mi sono trovato in imbarazzato. Per un po’ di tempo li ho lasciati lì”.
Don Carlo spiega che in quei momenti il suo timore fosse quello “di porre un ostacolo al mio compito di approccio all’ascolto di persone già per tanti motivi in difficoltà a mettersi in relazione”. Poi però, “lentamente mi sono reso conto che si stava entrando come in uno stato di guerra dalle conseguenze dirompenti. Lo dichiaravano i dispacci che provenivano da tutte le testate televisive con le disposizioni da adottare in società. Qui mi era vietato l’accesso nelle stanze in isolamento e poi addirittura in interi reparti”.
Il racconto del cappellano del Pio Albergo Trivulzio
Il sacerdote piano piano ha cominciato ad aprire gli occhi, e racconta di avere drammaticamente preso coscienza della situazione soltanto “quando ho cominciato a essere chiamato ad amministrare il sacramento dell’olio dei malati, che in questi casi era l’estrema unzione”.
“Una dottoressa mi veniva incontro per accompagnarmi nella stanza dei presidi sanitari, disinfettante prima durante e alla fine, copri scarpe, camice, mascherina, guanti, copri capelli. Poi tutto nel sacco di smaltimento. Ho percepito che il male era molto insidioso”, è il racconto crudo, che segna nel profondo.
La tragedia e la reazione del personale
Nonostante la tragedia, il modo in cui la struttura stava reagendo era forte, e inaspettata. Don Carlo racconta di avere trovato pazienti che si dimostravano “collaborativi e vogliosi di cure, fiduciosi dei loro medici”. Che addirittura “erano più preoccupati che i loro cari venissero contagiati che della loro salute”. “L’ho trovata una cosa bellissima”, commenta il sacerdote.
Per don Carlo la realtà dei fatti è che “tante persone pensano di trovarsi in una situazione privilegiata, rispetto a quello che sarebbe capitato ammalandosi a casa. In quel caso avrebbero dovuto ricorrere a un pronto soccorso senza la presenza dei loro cari. Qui sono in un ambiente che conoscono, dove vengono assistiti”.
I tragici momenti che sono costati la vita di tanti anziani
E quello del coronavirus non è l’unico momento in cui sono arrivati tutti insieme una serie significativa di lutti. A marzo ce ne sono stati 18 più dell’anno precedente, ma il cappellano dice che il numero non lo sorprende perché anche in passato si sarebbero raggiunti questi numeri in periodi particolari.
Che però hanno aspetti significativi di differenza con oggi, e con gli ultimi due mesi in particolare. Ovvero quello di non avere più trovato nel loro letto, da un giorno all’altro, pazienti che solo pochi giorni prima non avevano sintoni “di particolare gravità”. “Questo virus mi si è rivelato con sgomento in tutta la sua potenza distruttiva”.
Uno sgomento, quello del sacerdote, che afferma essere stato lo stesso che “leggeva sui volti di medici infermieri dirigenti. Preoccupati di mettere in atto le istruzioni che venivano impartite dall’alto. Cosa sia avvenuto io non lo so. Credo che non ci si sia resi conto bene di quanto stava accadendo”
Giovanni Bernardi
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