Immigrazione: non è uno slogan ,aiutiamoli a casa loro. Questa frase, ripetuta da alcuni come un mantra e da altri osteggiata ed accusata di populismo strisciante dovrebbe in realtà mettere d’accordo tutti: sia chi non vede di buon occhio le ondate migratorie che hanno caratterizzato gli ultimi anni ma anche chi, dalla sensibilità più “terzomondista”, si fa paladino dei diritti dell’accoglienza e dell’inclusione. Perché in fondo lo sradicamento è un qualcosa che non dovrebbe far piacere a nessuno e tutti dovremmo essere d’accordo sul puntare sullo sviluppo di un continente – quello africano – da sempre caratterizzato invece da povertà endemica. È dalla nostra infanzia che sentiamo parlare di terzo mondo, di politiche per lo sviluppo… In fin dei conti, enti prestigiosi come la FAO dovrebbero servire a questo, no? In realtà con il passare dei decenni la situazione non solo non sembra migliorare ma è anche – se possibile – peggiorata. Le cause sono tante, ma vanno in primis addebitate all’imbarazzante corruzione e incapacità delle elites locali e dei legami che queste hanno intrecciato con le autorità politiche ed economiche del mondo occidentale sviluppato. Del resto, nel 2017 sono stati spesi in armamenti nel mondo ben 1739 miliardi di dollari, il 2,2 % del prodotto interno lordo globale: la questione è dunque politica, perché basterebbe investire il 10% di questa cifra in istruzione pubblica nei paesi del terzo mondo per cambiare davvero molte cose. Ma converrebbe a coloro che sono chiamati a prendere decisioni?
Quello che colpisce è la reazione veemente, indignata di molti cattolici alla frase “aiutiamoli in casa loro!”. Forse però non si tratta di una reazione del tutto neutrale: molte cooperative legate ad una certa area sono da sempre schierate per l’apertura incondizionata delle frontiere, ma per queste ogni immigrato che entra sono soldi elargiti generosamente dalle casse pubbliche. Tanti migranti corrispondono a tanti soldi e tanto potere: ricorderete la frase estratta da un’intercettazione ambientale nell’indagine su “mafia capitale” in cui si sosteneva che dai migranti si “guadagna di più che con la droga”. Non si tratta dunque di un conflitto di interessi? Di fatto bloccare i flussi significa per questi signori vedersi chiudere i rubinetti… Altro che ragioni umanitarie! Ecco perché tutto quello che viene detto in merito è distorto da una serie di coinvolgimenti più o meno nascosti.
Del resto il nostro è un Paese che, mentre fa entrare imprudentemente chiunque in nome del “volemose bene” , dall’altro permette una fuga di cervelli senza precedenti: in Italia sono oltre 250mila i nostri connazionali che se ne vanno all’estero ogni anno, per la maggior parte (64% circa) laureati[1]. Stiamo parlando quindi di persone che hanno un profilo professionale alto, su cui si è investito tanto (sia a livello pubblico che privato) e poi si permette come se nulla fosse che vadano altrove a mettere a frutto le loro qualità. A questi chi ci pensa? Perché non se ne parla? Eppure i numeri sono impressionanti, anche maggiori di quelli che entrano. Perché degli italiani poveri e in difficoltà non frega nulla a nessuno? I vari profeti del politicamente corretto, dalla loro villa a Capalbio sembrano avere un cuore solo per chi sale su un gommone…
Ecco perché lo spiccio buonismo di tanti (purtroppo anche uomini di Chiesa) non ci convince: una volta fatti entrare, che facciamo? Li mandiamo a raccogliere pomodori per quattro soldi? È questo il piano per lo sviluppo? Non ci si rende conto che avere manodopera sempre più abbondante abbassa i costi del lavoro non qualificato e peggiora le condizioni di vita di chi fra gli stranieri è già in Italia e cerca faticosamente di ricostruirsi una vita? Vabbè, ma i radical chic hanno sempre la risposta pronta: “Ci pensa l’Europa”… Questo sì uno slogan vuoto, visto che questi non li vuole più nessuno, in primis proprio quelle nazioni che – come la Germania e i paesi scandinavi – in passato hanno provato ad integrare masse abnormi di migranti con il solo risultato di vedere stravolta la convivenza civile e l’aumento dilagante di delinquenza, stupri e aggressioni.
In un altro articolo abbiamo chiarito la posizione del magistero della Chiesa sull’argomento: l’aiuto è un dovere, ma va commisurato alle effettive possibilità economiche e non solo delle nazioni chiamate non solo a gestire l’emergenza ma anche a preoccuparsi offrire un vero futuro a queste persone, un futuro fatto in primis di lavoro e di integrazione. E in questo senso sembra che stiamo raschiando (non da oggi) il fondo del barile. L’unica speranza resta allora veramente cercare di portare ricchezza nei luoghi da dove partono queste persone. Ma le anime belle che scrivono sui giornaloni di regime sono piuttosto refrattarie a questa impostazione: loro fanno prevalere il sentimento, l’emotività, della serie “prendiamoli tutti poi si vedrà…”. É impressionante verificare come, sulla stampa mainstream, su questa questione si trovino tutte le obiezioni e i cavilli possibili e immaginabili, a volte con una buona dose di fantasia. Il fatto è che da qualche anno a questa parte, come anche il lettore più distratto si sarà reso conto, l’Italia è stata lasciata sola nella gestione di un’emergenza molto più grande delle nostre possibilità. Sono entrate in due anni e mezzo (anni si sbandiera pure il fatto di aver fatto calare drasticamente gli sbarchi! Pensate prima che doveva essere) diverse centinaia di migliaia di persone senza documenti, senza identità: chi sono? Che vogliono? Quali sono le loro qualifiche? Sono incensurati? Si tratta di domande a cui un paese civile deve dare risposte celeri, per garantire un minimo di sicurezza ai propri cittadini che pagano fior di tasse. Come è possibile affrontare un problema come questo a suon di proclami buonisti? Ricordiamolo: tutte queste persone non saranno ospitate nell’attico newyorchese di Saviano o negli eleganti quartieri dove vivono i vari Fabio (Fazio&Volo, i Cip e Ciop del politicamente corretto) o dove abitano i lettori di “Repubblica”: questi sventurati sono stati ammassati in condizioni spesso disumane alle periferie delle grandi città o in quelli che la sinistra considerava i suoi “feudi sicuri”, posti come Macerata dove però il repentino cambio della qualità della vita ha portato poi ad un drastico mutamento politico nell’amministrazione delle città. L’arcivescovo Crepaldi in merito ha detto:
«Devo notare che c’è oggi tra i cattolici una tendenza ad affrontare il problema delle migrazioni nella forma di una carità immediata senza però una prospettiva politica costruttiva vera e propria. Noto una positiva mobilitazione di sforzi e impegno per assistere l’immigrato e dargli immediata solidarietà, ma meno l’impegno di affrontare con realismo il problema in modo da approntare soluzioni non solo di solidarietà corta, ma anche strutturate e funzionali sistemicamente».
Parole sagge, ben diverse da quelle pronunciate da altri prelati (sempre di più) che invece sembrano fare a gara a chi rincorre meglio la penultima moda progressista… Quando saranno arrivati all’ultima, cioè i “diritti civili” i cui sostenitori si battono per l’adozione alle coppie omosessuali, avvisateci: faremo di tutto per creare una chiesa povera per i poveri, e un bel ciaone all’8 per mille…
ALESSANDRO LAUDADIO
[1]http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-07-06/oltre-250000-italiani-emigrano-all-estero-erano-300000-dopoguerra-094053.shtml?uuid=AEuX6nsB.
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