Il Papa ha nominato il francescano monsignor Pierbattista Pizzaballa nuovo patriarca di Gerusalemme dei latini. Si tratta di una nomina tanto attesa.
Monsignor Pierbattista Pizzaballa era infatti da quattro anni amministratore apostolico “sede vacante”. Pizzaballa, 55 anni e originario della provincia di Bergamo, è stato ordinato sacerdote Bologna dal cardinale Biffi un mese prima di partire per la Terra Santa, e ora ha così ricevuto una nomina attesa da molto tempo.
Finalmente quindi Gerusalemme ha un nuovo patriarca. Il religioso è un uomo molto stimato e conosciuto anche in Italia, dove spesso si reca per partecipare a incontri pubblici e privati.
Stamattina le campane hanno quindi suonato a festa nella sede del Patriarcato, situata nella Città Vecchia. Dal campanile sventola quindi la bandiera bianco-gialla del Vaticano, mentre vescovi e sacerdoti intonavano il “Te Deum” e le suore, con cui Pizzaballa ha fin da subito avuto un rapporto di grande vicinanza tanto da recarsi in visita da loro più volte durante la pandemia, festeggiavano con gioia.
Il monsignore, francescano, ora andrà alla guida della sede metropolitana che ha per competenza Israele, Palestina, Ciro e Giordania. Dagli anni ottanta questa sede è guidata da patriarchi di origine araba. Ovvero il palestinese Michel Sabbah e il giordano Fouad Twal. Ora il testimone passa a un italiano.
La notizia della decisione presa dal Papa è stata diffusa attraverso un bollettino della Sala Stampa vaticana. Da diversi giorni però a Gerusalemme la notizia della nomina del frate bergamasco, attesa e auspicata da molti, era già nell’aria. Ora monsignor Pizzaballa, uomo disponibile e gentile con tutti, dovrà essere appellato con il titolo di “Sua Beatitudine”.
Pizzaballa è infatti stato per più di dieci anni Custode di Terra Santa, ma sono ormai oltre tre decenni – dal 1990 – che frequenta quei luoghi sacri e incantati, ma anche complessi e duri da affrontare nelle loro problematiche sociali, religiose e politiche. Il francescano in questi anni ha avuto modo di portare avanti una lunga conoscenza della realtà che si trova dinnanzi.
Ciò grazie anche alla sua stretta conoscenza della lingua ebraica, oltre che grazia alla sua vicinanza con il popolo ebraico. Il clero lo apprezza molto, e lo stesso anche gli arabi, nonostante un primo momento di diffidenza. Ora la stima reciproca, spiegano i giornali, è piena.
La parte araba ha infatti accolto con felicità la nomina. “Dopo quattro anni nessuno pensava che sarebbe mai potuto arrivare un palestinese o un giordano come in passato; a prevalere era soprattutto la sofferenza di avere un amministratore apostolico e non un patriarca”, sono le parole consegnate ai media.
Il suo servizio nella Custodia francescana di Terra Santa è iniziato nel 1999, per essere nominato vicario patriarcale nel 2005, dopo alcuni anni come Guardiano del convento dei Santi Simeone e Anna a Gerusalemme, fino al 2008.
Dal 2004 al 2016 è stato Custode di Terra Santa, e a un mese dalla fine del suo mandato Papa Francesco lo ha nominato al posto del patriarca uscente Twal. In quella nomina Pizzaballa veniva quindi designato non patriarca ma amministratore apostolico sede vacante, “fino alla nomina di un nuovo patriarca“, come affermava il Vaticano.
Tutti però cominciarono fin da subito ad avere il presentimento che il suo mandato sarebbe proseguito fino all’ufficializzazione del ruolo che ora prende il carico. Inizialmente infatti, il fatto che un italiano venisse posto alla guida del Patriarcato, dopo trent’anni e due patriarchi arabi, aveva creato qualche malumore.
Poi però il suo ruolo determinante e delicato, in particolare per essersi trovato a gestire un pesante problema finanziario dovuto alla gestione del suo predecessore, e che preoccupava non poco la diplomazia vaticano, gli ha fatto guadagnare la stima di molti.
Si parlava di un debito superiore a 100 milioni di dollari con alcune banche creditrici, a causa della costruzione di un mega campus universitario in Giordania. Il monsignore italiana ha risolto la situazione vendendo una proprietà terriera di oltre 30 ettari a nord di Nazareth, e ricavando ben 60 milioni di euro.
Il Patriarcato di Gerusalemme, dopo l’operazione, ha subito spiegato a tutti, con grande trasparenza, che si è trattato didi una decisione “presa con grande travaglio” al fine di portare a soluzione “problemi economici altrimenti irrisolvibili“. Giungendo però, al termine dell’operazione, a “conti risanati”.
Nel 2017 un’altra questione complessa affrontata da Pizzaballa è stata quella del restauro dell’edicola del Santo Sepolcro. Ci sono voluti infatti dieci mesi per quella operazione, portata a termine grazie a un accordo tra le tre comunità religiose che gestiscono la basilica. Ovvero tra armeni, ortodossi e francescani.
Sulla questione palestinese, intervenendo all’incontro di Bari organizzato dalla Cei lo scorso febbraio, Pizzaballa aveva affermato che “l’unica “non-soluzione” possibile” è quella dei “due popoli, due Stati”. “Non si può dire ai palestinesi che non hanno diritto ad una terra e a una nazione. Essi ne hanno diritto. “, aveva affermato.
“Data l’attuale situazione politica è da chiedersi come tecnicamente questa possa essere realizzata. È difficile dire che questa soluzione non sia più praticabile ma allo stesso tempo bisogna chiedersi come si potrebbe fare“.
Giovanni Bernardi
Fonte: La Stampa
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